All’alba della fondazione dell’Impero, le cronache di Elric riportano che l’alleanza tra Uomini e Nani fosse salda come le radici stesse delle montagne. Fu in quell’epoca remota che i Nani forgiarono per l’Imperatore degli Uomini uno scudo possente che sembrava scolpito nella lava pietrificata, in grado di resistere persino all’alito incandescente dei tremendi Draghi. Gli Uomini si riferiscono a tale manufatto con il nome di Frangifiamma, che i Nani chiamano invece Kheled-dran.
La notte che precedette la partenza fu carica di tensioni che nemmeno la torta di mele di Brandano riuscì ad allontanare. Gli avventurieri erano infatti innanzi ad una difficile decisione: Egill non desiderava allontanarsi da Draskìr fintanto che ci fosse stata una flebile speranza di ricucire lo strappo che gli eventi della notte precedente avevano causato, sebbene i suoi compagni percepissero l’urgenza di allontanarsi dal cuore del regno e proseguire la propria ricerca.
Norwin li aveva infatti esortati a non arrestare il proprio cammino: non era possibile infatti sconfiggere Mourne il Nero con il solo l’ausilio di Drachnost, come aveva già scoperto suo malgrado il nobile Palmir, ed il regno aveva un disperato bisogno di aiuto, sebbene il Principe Ragnar non fosse disposto ad ammetterlo. Le antiche leggende narravano dell’esistenza di uno scudo forgiato dai Nani e donato, in epoche remote, all’antica dinastia degli Imperatori degli Uomini. Le cronache più recenti tuttavia riportavano che Kheled-dran era stato spezzato in cinque parti dal potere di Sherargethru, ed i suoi frammenti dispersi sul suolo del Vecchio Mondo. Tuttavia, il nobile di Ravendish aveva acquisito senza volerlo notizie incoraggianti; vi era infatti un Nano che aveva dedicato la sua vita al ritrovamento dei frammenti di Kheled-dran: il suo vecchio maestro d’arme, che rispondeva al nome di Narth-Urn.
Narth-Urn, come tutti i Nani che dimoravano nel regno di Ursathra, si era diretto a Uth-Drannor non appena era giunta la notizia della chiusura dei suoi cancelli. Era evidente che la stirpe di Drann aveva risposto ad un richiamo segreto, ma di quale natura fosse era impossibile saperlo. Finalmente, l’intera compagnia si risolse a partire e alle prime luci dell’alba si diresse senza esitazioni verso la grande città di Thull.
Il viaggio fu breve e privo di incidenti: al loro arrivo il principe Galthen li accolse con garbo e sobrietà, interessandosi solo marginalmente alla loro missione. Era evidente che per quanto distante dagli scontri principali, la città di Thull non aveva risorse da condividere e Galthen non offrì loro nemmeno una piccola scorta per risalire la strada lastricata che li avrebbe condotti sino al valico di Dargrimor. Prima di lasciare la città, Martin ebbe modo di incontrare il nobile Siegwald, poeta ed amico da sempre, dal quale apprese che vi era ancora un Nano che non aveva lasciato la città di Thull: il Mastro Ingegnere Gromnir. Egli si era impegnato per ultimare la costruzione di un’imponente diga, e sebbene fosse evidente in lui l’urgenza di lasciare la città e seguire i suoi simili verso i cancelli di Uth-Drannor, la sua parola lo vincolava a ritardare la partenza. Dopo un breve conciliabolo, gli avventurieri decisero di risalire il Gordrunn, per raggiungere il luogo in cui lavorava alacremente il Mastro Ingegnere.
Gromnir aveva ampie spalle, una lunga barba castana e decisamente ben poca pazienza. L’urgenza di ultimare i lavori si scontrava con la sua indole perfezionista; egli era pertanto di pessimo umore e tutt’altro che disposto a rispondere alle domande di quegli impertinenti viaggiatori, che sostavano senza alcun permesso nel campo usato per i materiali impiegati per la costruzione della diga. D’un tratto, senza alcun preavviso, un feroce ringhio squarciò l’aria e una bestia spaventosa emerse dalla vuota tenebra aggredendo il Mastro Ingegnere. Gli avventurieri reagirono immediatamente, colpendo la bestia dalle sei zampe e obbligandola a lasciare la sua preda, mentre Egill utilizzava il suo scudo per bloccare i micidiali colpi uncinati dell’estremità acuminata dei due tentacoli.
La bestia distorcente si sdoppiò, e poi si sdoppiò ancora. I colpi degli avventurieri sembravano mancare il bersaglio, mentre gli uncini piovevano da ogni parte, colpendo e mutilando. D’un tratto Galaverna alzò la mano e invocò il potere del gelo contro quell’abominio: in un esplosione di cristalli, la bestia distorcente cadde, per non rialzarsi mai più.
Quando Brandano aiutò il Mastro Ingegnere a rialzarsi, negli occhi del Nano vi era evidente traccia di gratitudine. Egli non poteva spiegare il motivo della presenza di quella bestia, né il perché di quell’aggressione, ma era certamente disposto ad ascoltare i viandanti e aiutarli nella loro impresa. Spiegò, senza volerne descrivere i motivi, che i cancelli di Uth Drannor erano chiusi per gli Uomini, ma consegnò loro una speciale moneta con impresso il sigillo dei Mastri Costruttori, che testimoniava il debito che il suo ordine aveva contratto con essi quel giorno. Forse grazie ad esso, la loro richiesta sarebbe stata diversamente considerata da parte del Signore della Montagna Bianca.
Prima di allontanarsi, gli avventurieri osservarono ancora il gigantesco cadavere della bestia distorcente. Non sfuggì a nessuno di loro che la bestia aveva aggredito immediatamente Gromnir, ignorando qualsiasi altra preda, sebbene il Nano non fosse né isolato né ad essa più vicino. Mentre si avviavano lungo la grande strada lastricata, Brandano intuì che vi erano più forze in atto che tentavano di ostacolare la loro missione, e si immerse in una silenziosa preghiera.
Ma il Creatore, come spesso accadeva, non gli diede risposta alcuna.