La notte degli equivoci

Mentre i suoi fratelli avevano scelto uomini ingegnosi e sagaci come consiglieri, Ragnar aveva riunito a sé soltanto i guerrieri migliori. Essi erano i più forti e implacabili combattenti del regno di Ursathra, e si racconta che ognuno di essi fosse in grado di tenere testa a più di cento nemici; i Drakkarii avrebbero seguito il principe Ragnar oltre i cancelli del Reame dell’Incubo, poiché la loro fedeltà da tempo si era mutata in fanatica e cieca idolatria.

Rialzandosi da terra, Martin si pentì lievemente di aver sfidato Duncan a duello. Il maestro d’armi del principe Norwin era ben più esperto di quanto il giovane Ravendish immaginasse e sino a quel momento l’esito dello scontro non gli era stato minimamente favorevole. Tuttavia, il giovane nobile non si sarebbe dato per vinto facilmente. Egill e Brandano, dopo aver sorseggiato una pinta di idromele ed essersi gustati lo scontro, si divisero per occuparsi delle rispettive faccende, mentre Galaverna, dopo aver ispezionato il perimetro del palazzo reale, si mise in cerca di un alchimista per acquistare alcune componenti utili agli intrugli che intendeva preparare.

Gli avventurieri si riunirono nuovamente solo in tarda serata. Egill arrivò per ultimo e si sedette con aria preoccupata tra i suoi compagni; tra le dita reggeva una sottile pergamena, su cui era vergato un avvertimento che lo aveva spinto a cercare subito i suoi amici. Brandano lesse ad alta voce il contenuto del messaggio, che Egill aveva trovato nelle proprie stanze.

La missiva non aveva firma, ma avvertiva chiaramente il paladino del pericolo che correva. Stando al contenuto della lettera, Egill era stato avvelenato e sarebbe morto prima del sorgere della nuova alba. Non vi era tempo per preparare alcun antidoto, e l’unico mezzo per scongiurare la morte sembrava essere quello di seguire le istruzioni precise contenute nella lettera. Tuttavia, non poche perplessità sorsero sulla veridicità del messaggio.

Egill dal canto suo aveva già deciso. Il celebre canto che accompagnava le memorie dei Cavalieri Grigi di Draskìr era stato infatti incluso nella lettera, e il suo cuore sperava che finalmente, dopo tanta vana ricerca, fosse giunto il momento in cui avrebbe potuto incontrare i superstiti o i discendenti dell’ordine. I suoi compagni allora decisero di recarsi con lui alla taverna del Sole Ridente, ove Egill avrebbe dovuto compiere la prima parte delle azioni richieste nel messaggio.

Tuttavia, per essere meglio preparati, Brandano e John si recarono sul posto per primi, mentre Egill, Martin e Galaverna avrebbero fatto ingresso solo dopo un certo tempo. Questa precauzione tuttavia costò molto cara al paladino di Erin: il messaggio lo avvertiva di agire subito, ma quando Egill si mosse tardivamente verso la taverna il veleno cominciò a manifestare il suo effetto. Martin dovette aiutarlo per evitare che il cavaliere scivolasse dalla sella del suo corsiero, e lo sostenne sino al bancone, dove l’oste della taverna li accolse a braccia aperte.

Egill seguì alla lettera ciò che il messaggio recitava, consegnando una cospicua somma di denaro nelle mani di Khimé. Quando Martin ed Egill emersero dalla taverna, otto uomini, che già avevano attratto l’attenzione di Brandano, si alzarono all’unisono e seguirono i propri compagni. Egill sentiva le gambe cedergli e soltanto grazie all’aiuto dei suoi amici riuscì a raggiungere il luogo finale precisato dalla missiva. Innanzi ad un elegante statua dedicata alla gloria di Libra, il paladino si inginocchiò, pregando che il tempo non lo tradisse.

Finalmente un uomo dalle braccia ustionate, mendicante nell’aspetto, si avvicinò e si inginocchiò a poca distanza da lui. Senza presentarsi, disse che il paladino aveva comprato la sua vita quella notte e gli pose nelle mani un piccolo involto, al cui interno vi era della semplice polvere bianca. Egill, allo stremo delle forze ingerì la sostanza, e il suo fisico venne squassato da tremiti violenti.

Pensando che l’uomo avesse attentato alla vita del suo compagno, Martin sguainò le armi, ma alla vista dell’acciaio, gli otto uomini che li avevano seguiti si fecero avanti con fare minaccioso. Mentre John e Brandano si tenevano in disparte, Rudolf intervenne mettendo in mostra il suo blasone, e intimando agli uomini di gettare via le armi. Qualcuno dei cittadini immaginò che un feroce scontro stesse per scatenarsi e gridò di paura, prima di allontanarsi rapidamente.

Sebbene fossero pronti alla battaglia, gli uomini non snudarono le proprie lame. La tensione crebbe, mentre Martin poneva domande che non avevano risposta: l’uomo che aveva consegnato l’involto si limitò a dire che il suo compagno aveva avuto ciò che aveva acquistato. L’arrivo di un drappello di soldati pose fine alle trattative: ad un cenno dell’accattone, gli otto uomini si diedero alla fuga in direzioni differenti. Martin si lanciò tosto all’inseguimento del mendicante, deciso a non farlo fuggire, mentre John attese che uno di essi gli passasse al fianco, prima di stordirlo con un pesante pugno all’altezza della spalla.

Quando i soldati giunsero nella piazza, si affrettarono verso Egill, che giaceva tra le braccia dei suoi compagni. Il suo corpo stava reagendo violentemente alla sostanza ingerita, e il paladino avvertì un dolore terrificante al basso ventre, mentre la sua gola gli sembrava ardere sotto le lingue di un’implacabile fiamma. Brandano gli fu al fianco, cercando di fare ciò che poteva per lenire il dolore del veleno. I soldati sollevarono Egill, trasportandolo sino all’abitazione di un taumaturgo e Rudolf non poté far altro che sperare che l’abilità del maleodorante segaossa fosse pari all’amore per i randagi che scorrazzavano liberamente nella sua casa.

Martin nel frattempo affrontò il mendicante in uno dei vicoli poco distanti. Dalle parole si passò alle armi, ma il nobile di Ravendish che aveva affrontato e vinto gli uomini iena del nord era un avversario ben superiore di quanto il suo nemico potesse immaginare: il primo affondo fu decisivo, e il pezzente senza nome crollò al suolo con la gamba squarciata da una ferita mortale.

Quando Brandano giunse sul luogo non poté far altro che rallentare la morte del mendicante, dalle cui labbra tuttavia non emersero le risposte desiderate. Forse l’uomo non mentiva e poco egli aveva avuto a che fare con il veleno che aveva minacciato la vita del paladino. La sostanza che gli aveva consegnato era solo un potente purgante, talvolta l’ultima carta che un assassino poteva giocare quando ogni precauzione era stata vana. Con un ultimo rantolo, l’irato indigente invocò una maledizione su coloro che lo avevano ucciso, e promise vendetta per la sua vita spezzata.

Nel frattempo, le condizioni di Egill miglioravano rapidamente. Il suo corpo aveva espulso in ogni modo possibile le tossine che erano state così vicine a fermare il battito del suo cuore. Rudolf gli consegnò delle vesti pulite, e lo accompagnò sino al palazzo reale. Brandano e Martin, dopo aver nascosto il cadavere del mendicante nella stalla della taverna, tornarono indietro. Brandano avrebbe desiderato ricomporre il pasticcio di quella notte, poiché infine aveva capito che l’uomo ucciso non aveva partecipato nell’agguato contro il paladino di Erin: ma le speranze di riuscire in tale impresa si erano ulteriormente ridotte dopo che il bue aveva fatto ingresso nella taverna del Sole Ridente con il corpo dell’uomo che aveva stordito, dando vita ad una colossale rissa che certamente avrebbe ridotto di molto il conio nella scarsella di Khimé.

Quando Egill si addormentò quella notte, i dubbi lo assalirono nei suoi sogni: aveva perduto la sua occasione di incontrare i Cavalieri Grigi? Tuttavia Il giorno successivo giunse in fretta e non vi era tempo per riflettere sugli eventi appena occorsi: Norwin in persona avvisò la compagnia dell’arrivo di Ragnar, e pregò Martin di essere presente. Gli avventurieri misero i propri abiti migliori e Brandano, temendo che il vicario potesse riconoscerlo, si travestì quale armigero personale di Rudolf, indossando la livrea della Lince Rossa.

La sala del trono di Ursathra era gremita, e tutta la corte era presente per salutare il ritorno di Ragnar. Norwin e Jorgen presero posto ai lati del trono, vuoto, quasi a sottolineare l’assenza del monarca del regno. Finalmente, le porte si spalancarono e il suono delle grida di acclamazione salì d’intensità. Ragnar entrò nella vasta sala con gli stivali ancora ricoperti dal fango del lungo viaggio ed il pesante spadone ben visibile sopra la pelle d’orso che adornava le sue spalle. Ogni dettaglio nella figura di Ragnar rimandava forza; i lunghi e scarmigliati capelli e la barba incolta stridevano non poco con l’eleganza e la raffinatezza raggiunta dalla corte di Ursathra. Al seguito del figlio maggiore del defunto Re due dozzine di guerrieri d’aspetto altrettanto brutale fecero ingresso. Erano i Drakkarii, la guardia scelta del principe, la cui abilità marziale aveva assunto nelle ultime due decadi i contorni della leggenda.

Fu allora che innanzi all’intera corte, la compagnia avanzò, mostrando agli occhi curiosi dei nobili nati la scintillante Spada Nera. Quando Ragnar impugnò Drachnost tuttavia, egli disse che sarebbe stato il Re a brandirla contro il Drago, per privarlo una volta per tutte della sua aberrante vita. Poi si volse verso Rudolf, e con parole dettate dall’amore che solo un fratello può serbare al suo congiunto, gli affidò la Sterminatrice di Draghi, affinché la custodisse fino al momento del decisivo confronto con Mourne il Nero.

Innanzi a quello sguardo, le certezze del nobile Steiner si incrinarono, per non ricomporsi mai più.