Durante il 1250, i Signori delle Tenebre guidarono implacabilmente le armate degli orchi al comando del servo più micidiale di Sherargethru, distruggendo ogni avversario sul proprio cammino. Tuttavia pochi sanno che nessuno tra i crudeli generali della Terza Oscurità ignorava deliberatamente l’elegante voce di Sheena Drur, la cui esistenza era inesorabilmente legata alla spietata volontà del Tessitenebra.
Al termine della dura battaglia combattuta al Piazzale della Scacchiera, gli avventurieri si unirono ai due soldati sopravvissuti. Sebbene fossero stati compagni d’arme, John stentava a riconoscerli: Carsen, un carbonaio dalla tempra più dura del ferro, lo scrutava con occhi vacui e inespressivi, mentre Todd si disperava, distrutto dal dolore, abbracciando il corpo di quella figlia che aveva trafitto durante la battaglia, condannata alla non vita dal sortilegio che stringeva nella sua crudele morsa la città di Glenthia. Di comune accordo, il gruppo si diresse verso la Guarnigione del Soldato, che un tempo dava riparo alla maggior parte dei combattenti delle pattuglie del Distretto Orientale.
La struttura in pietra era danneggiata ma ancora in piedi, e varcata la soglia, John si accorse di riconoscere la voce che tuonava contro l’apatia dei suoi compagni. Apparteneva a Cathri, una giovane donna recentemente accolta nella milizia da Bartholomeus, pochi giorni prima che il gigantesco fabbro partisse alla volta di Draskìr.
Ci volle qualche tempo prima che Galaverna sciogliesse il mistero che si presentava ai loro occhi: lo stregone della Torre di Ashkalt dedusse che un subdolo sortilegio aveva lentamente ma inesorabilmente spezzato gli spiriti degli abitanti di Glenthia. Galaverna liberò Carsen dalla stretta diabolica, ma comprese che non avrebbe potuto salvare la città in quel modo: egli stesso, e i suoi compagni, avrebbero infine ceduto al potere stregato che aveva certamente già messo alla prova le loro menti. Le intuizioni dello stregone vennero avvalorate dalla scoperta del ciondolo di Cathri, dono del padre, che recava incise rune che l’occhio di Galaverna seppe decifrare con semplicità. Il ciondolo proteggeva la donna dal male , ed infatti ella era l’unica che aveva mantenuto la presenza di spirito che da sempre contraddistingueva gli abitanti di Glenthia.
Martin si fece portavoce delle emozioni dell’intero gruppo, esprimendo la sua determinazione a non lasciare la città prima di aver compiuto le gesta necessarie a sottrarla a quell’arcano maleficio: fu così che Galaverna impiegò le sue arti per individuare l’epicentro della malvagità, e i suoi compagni lo seguirono. Cathri e Carsen fecero per unirsi al gruppo, ma Bartholomeus lo impedì: era necessario che coloro che avevano trovato riparo nella guarnigione fossero protetti. Il fabbro che aveva visto con i suoi occhi l’assedio di Glenthia venti anni prima, diede a John il compito di portare a termine quella pericolosa spedizione, mentre egli avrebbe fatto del suo meglio per respingere i non morti fino al loro ritorno. Negli occhi di Bartholomeus, John lesse tutta l’ammirazione che il suo veterano mentore riponeva ormai in lui, e comprese che egli non lo avrebbe più guardato come un apprendista, ma come un proprio pari.
Risolutamente, gli avventurieri si misero in marcia, guidati dall’intuito e dalle capacità di Galaverna, giungendo infine nel cuore della città vecchia, laddove si ergeva un tempo maestosa la cattedrale voluta dal casato degli Steiner. Tuttavia, di quell’opera che il padre di Rudolf aveva dedicato al Creatore non restava nulla, nemmeno le mura perimetrali; soltanto un cumulo di macerie e rovine annerite testimoniavano l’esistenza della grande cattedrale della Croce.
Gli avventurieri si divisero, per cercare la fonte che irradiava quel potere stregato che Galaverna poteva avvertire ormai senza bisogno di concentrazione, mentre Egill in sella al suo fidato destriero, si accertava che non vi fossero nemici pronti a sorprendere i suoi compagni nei dintorni dei ruderi della cattedrale. John e Brandano infine fecero un inquietante scoperta: il passaggio che conduceva ai sotterranei della cattedrale, che ospitavano le reliquie di sir Ilian, era stato sgomberato dalle macerie e molti segni indicavano che era stato utilizzato recentemente. Trattenendo il fiato, Martin si accinse a guidare il gruppo nei sotterranei, tenendo saldamente in pugno le sue armi.
Il reliquiario era stato indubbiamente saccheggiato e la maggior parte delle lunghe teche in pregiato legno e vetro era stata fatta a pezzi. Tuttavia, una di esse era ancora integra e sebbene fosse stata forzata il suo contenuto non era stato rimosso. Si trattava di una lunga spada bastarda dall’elsa scura e dalla lama affilata: Martin decise di prenderla con sé ed esaminarla in un secondo momento, guidando i propri compagni nelle sale sottostanti il reliquiario, immerse nell’oscurità.
D’un tratto, il nobile di Ravendish si arrestò, poiché da una delle sale laterali proveniva un barlume di luce: candele accese tradivano la presenza di un intruso. Usando ogni prudenza, il nobile scorse una figura ammantata in una lunga veste rossa e scura, intenta ad accendere candele lunghe e strette, poste all’estremità della sala. Prima che i suoi compagni giungessero e le loro rumorose armature mettessero in allarme quel potenziale nemico, Martin colmò la distanza che lo separava dal suo bersaglio, ponendogli prontamente la daga vicino al collo e la lama lunga sul fianco; grande fu la sorpresa del nobile nell’udire il grido strozzato di una donna, e la sua cortesia ebbe la meglio sulla bizzarra circostanza: Martin lasciò immediatamente andare la sua preda, che si volse per fronteggiare il nobile e i suoi compagni.
La presenza di quella donna dall’età indefibile al di sotto della cattedrale era inspiegabile, e i timori degli avventurieri si moltiplicarono quando ella mostrò di riconoscere Ronald, che tutti loro avevano sempre conosciuto come Galaverna. Tanto enigmatiche si rivelarono le parole di quella misteriosa apparizione, che Martin vinse la sua reticenza e si preparò a trafiggerla con le sue lame. La donna, per nulla turbata dai suoi aggressori, offrì spontaneamente il proprio aiuto, aprendo loro la strada verso ciò che cercavano, poiché, aggiunse, Ronald avrebbe potuto un giorno compiere una scelta diversa da quella del padre. Ella li ammonì tuttavia, che esistevano custodi che non avrebbero ascoltato la sua voce: lo stregone e i suoi compagni avrebbero dovuto prepararsi e dimostrare il loro valore.
Mentre Martin sorvegliava la loro nuova prigioniera, John si mise alla testa del gruppo, seguito da presso dal paladino. Sia Egill che Brandano potevano adesso avvertire un aura empia provenire dai bui corridoi che si accingevano ad esplorare, e finalmente giunsero presso un’antica sala sotterranea, al centro della quale, circondata da una vasca di pietra colma di acqua putrida e rossa come sangue, si ergeva una statua umanoide e blasfema, un simulacro pagano inviso ai culti dell’uomo, sorvegliato da due abiette statue di pietra, gargolle il cui ghigno era rivolto da tempo immemorabile alla tetra statua centrale.
Prima che Galaverna individuasse la fonte di quel maleficio, Brandano e John si adoperarono affinché la statua venisse abbattuta. Nel frattempo, Rudolf, Martin ed Egill cercarono di interrogare la loro prigioniera, che irradiava un fascino sinistro, irresistibile e tetro allo stesso tempo. John infine tese la corda con cui era stata legata la statua blasfema, e gonfiando i possenti muscoli la fece rovinare da un lato; l’impatto frantumò l’antica statua in più pezzi, risvegliando istantaneamente i suoi arcaici guardiani.
Una gargolla piombò da una delle colonne sulla schiena di Egill, atterrandolo con il suo spaventoso peso e aggredendolo con micidiali artigli di ossidiana, mentre le due grottesche statue sui basamenti si animarono, scagliandosi contro gli altri membri della compagnia. Mentre gli avventurieri si accingevano ad una dura battaglia, la loro prigioniera fuggì lungo il passaggio da cui erano giunti, ma Galaverna non si perse d’animo, e la inseguì coraggiosamente, fronteggiandola nelle buie sale vicine al reliquiario. Tuttavia, lo stregone della torre di Ashkalt aveva già dato fondo a molti dei propri poteri quella notte, e la donna stritolò il suo spirito nella stretta mortale del proprio incantesimo.
Nel frattempo, grazie alla benedizione di Brandano, le armi degli avventurieri riuscirono a frantumare l’ossidiana che aveva protetto i diabolici costrutti da migliaia di colpi di spada in interi eoni; le tre gargolle furono annientate definitivamente dal valore e dai colpi della compagnia.
Accortisi dell’assenza di Galaverna, gli avventurieri si precipitarono alla sua ricerca, trovando il mago riverso nella sala in cui aveva affrontato la loro enigmatica prigioniera. Lo stregone era vivo, ma il suo cuore bruciava di vergogna, poiché quella notte la sua arte era stata sconfitta; ma non vi era tempo da perdere, poiché la fonte del diabolico potere che attanagliava la città era ancora pulsante e la sua tetra minaccia ancora vivida.
Con le ultime forze, Galaverna si fece accompagnare nella sala ove giacevano i resti delle gargolle di pietra, e con coraggio immerse il braccio nel liquame scuro, estraendone la rossa Pietra del Sangue, l’eterna prigione di uno degli spietati demoni che la stirpe di Acheron aveva incatenato oltre i confini del Reame dell’Incubo.