Guglielmo, frate missionario che aveva seguito i crociati nella conquista delle terre di Stygia, si trovava nella fortezza di Arcadizar quando gli eserciti maledetti del Signore del Deserto la raggiunsero. In quei disperati giorni, scrisse di suo pugno: “Invero queste terre vennero calcate dagli immondi esseri delle tenebre per troppo a lungo, e non è un caso che nostro signore Elric le abbia arse tra le fiamme della sua ira, stendendo un velo di sabbia su ciò che gli uomini giusti avrebbero dovuto dimenticare. Laddove le onnipotenti forze della luce avevano voltato le spalle, avremmo dovuto fare altrettanto: il nostro orgoglio ci ha portato in questa terra maledetta, dove ogni frutto avvizzisce ed ogni speranza è vana. Il male striscia sulle dune dei deserti e la nostra fede imperfetta non è stata sufficiente ad arrestarlo. Prego che i nostri peccati ci vengano perdonati, perché giunta è l’ora della nostra morte”.
Decisi a trascorre una notte di riposo dopo la turbolenta giornata, gli avventurieri si recarono ad Enkara, ma una volta giunti alla taverna del Randagio Ubriaco vennero esortati da Thor ad allontanarsi alla svelta: gli uomini del Teschio Rosso li stavano cercando, ed avevano già fatto irruzione nella taverna per tre volte nel tentativo di sorprenderli. Intuendo che non sarebbero potuti restare ad Enkara a lungo, gli avventurieri decisero di recarsi al rifugio di Nadine, dove la vecchia megera offrì loro l’ospitalità che aveva sempre accordato ai ribelli. Tuttavia, Nadine non era in grado di aiutarli a rintracciare l’uomo che aveva portato con se la iena maculata sull’isola di Idra, ed ogni speranza venne riposta nel compagno animale di Chandra. Quando la iena si mosse verso l’uscita delle antiche catacombe che fungevano da rifugio per la resistenza, Dakkar comprese che non vi sarebbe stato alcun riposo per quella notte.
La iena maculata li condusse sino ad una bianca spiaggia, a stento illuminata dalle stelle. L’uomo che cercavano si trovava al di là del mare, e Andrey intuì che la iena stava cercando di condurli sull’isola di Mali. Recuperata l’imbarcazione, gli avventurieri si mossero nuovamente verso l’isola maledetta.
Giunti dall’altra parte e messa al sicuro la piccola imbarcazione, il gruppo si inoltrò nella folto della giungla. Dopo appena un’ora di cammino Dakkar penetrò in un breve spazio circondato da imponenti alberi, nel quale riposavano i resti di un’arcaica fontana di pietra. L’alto basamento ospitava una grande vasca circolare, mentre il pilastro centrale era costituito da tre gargolle dalle gole spalancate: ma non più acqua sgorgava dalle loro fauci, e l’ampia vasca circondata dai rampicanti accoglieva soltanto limacciosa acqua piovana.
Tutto intorno a quella che un tempo doveva essere stata la piazza di un insediamento, sorgevano le rovine di antiche costruzioni, nascoste perlopiù dalla vegetazione che aveva riconquistato il terreno perduto. La iena si diresse verso un ingresso che dava in un ambiente seminterrato, sul cui pavimento erano sparse alla rinfusa dei fogli di metallo, incisi in una lingua arcaica che Unghialunga faticava a comprendere. Sebbene l’ambiente fosse privo di occupanti, la iena maculata vi si attardava e Chandra capì che quel luogo aveva certamente ospitato l’uomo che cercavano. Quando la creatura del sottosuolo li aggredì nessuno di essi era pronto alla battaglia.
Jack Faust venne scaraventato in avanti, mentre il terreno sotto i suoi piedi si spalancava vomitando un verme gigantesco munito di sei zampe falcate. A causa della polvere sollevata gli avventurieri poterono soltanto intravedere la bestia che si gettava a fauci spalancate su Jack, stritolandolo in una morsa terrificante. Il chierico di Kardys, già ferito in precedenza, urlò disperatamente alla morsa, e venne sollevato in aria dalla bestia già privo di coscienza.
Mentre Unghialunga scatenava il potere della sua magia contro la bestia, Dakkar, intuendo che il mostro stava per ritirarsi sottoterra portando con se Jack, si gettò alla base del cratere e cercò di incastrare il corpo ricoperto dalle scaglie chitinose usando il suo scudo. Soltanto i suoi muscoli d’acciaio impedirono all’avambraccio di spezzarsi, mentre lo scudo veniva frantumato dall’immensa forza dell’Ankheg. Andrey, sfruttando la manovra di Dakkar, saltò sulla testa della bestia e afferrò Jack per il bavero, sferrando una decisa pugnalata agli occhi del gigantesco insetto. Purtroppo a causa della precaria posizione il colpo mancò il bersaglio e il pugnale finì nella gola della creatura. L’Ankheg emise uno stridio terrificante e finalmente allentò la presa su Jack, dimenandosi sino a sbalestrare Andrey che cadde al suolo tra i suoi compagni. L’Ankheg si ritirò sottoterra, mentre Chandra fu costretta ad utilizzare tutti i suoi poteri per salvare la vita di Jack.
Dakkar intimò ai suoi compagni di lasciare immediatamente il luogo, ma lo stridio disperato del primo Ankheg ne aveva richiamati altri: quattro orrendi mostri dalle lucide scaglie si erano raggruppati innanzi all’ingresso delle rovine, ed il guerriero si preparò ad un ultima resistenza; ma quando tutto sembrava perduto, una lunga nota bassa, emessa da uno strumento a fiato, arrestò l’incedere dei giganteschi insetti. Una seconda nota fu sufficiente per farli indietreggiare ed una terza li mise in fuga. La iena era inquieta ma ad una esortazione di Chandra si diresse verso il suono, andando incontro al viandante che involontariamente aveva salvato le loro vite: l’uomo che stavano cercando.
All’interno di quello che era diventato il suo rifugio, Malek ascoltò il racconto degli avventurieri. Egli aveva ben poche risposte però, in quanto il suo compito affidatogli da uno dei nove arcidruidi consisteva soltanto nel riportare il compagno animale di Chandra alla sua proprietaria. Attraverso il suo racconto, Chandra apprese di appartenere all’ordine dei druidi, che da sempre si sforzava di preservare l’equilibrio naturale di ogni creatura vivente. Inizialmente disinteressato alle sorti di Enkara e dei suoi tiranni, l’atteggiamento di Malek mutò quando comprese che il nemico che gli avventurieri combattevano era una creatura dell’Incubo, un abominio avverso ad ogni legge naturale. Egli accettò quindi di aiutarli nell’impresa, e li seguì verso l’isola di Idra.
Istintivamente gli avventurieri navigarono verso il basamento del palazzo di Strom che cadeva a picco sul mare, dividendo in due parti i moli di Enkara. Un canale di scolo si apriva sotto la roccia, chiuso da una vetusta grata metallica. Andrey notò che qualcuno aveva recentemente forzato il chiavistello, e Dakkar si infilò nel passaggio armi in pugno.
Il canale era invaso da acqua poco pulita ma fredda e mossa da una debole corrente, che lambiva a stento le loro ginocchia. Il piccolo corso d’acqua si era aperto la strada sotto l’imponente roccia su cui sorgeva il palazzo di Strom, ma anche avendone percorso ogni anfratto, gli avventurieri non scoprirono alcun passaggio che poteva portarli verso l’alto. D’un tratto Andrey ebbe la netta impressione che qualcuno li stesse osservando da una delle alcove in ombra e invitò Dakkar a perquisirla. Guidato dal suo istinto, Andrey trovò istintivamente il nascondiglio di un assassino che lo ricompensò poco generosamente scagliandogli un pugnale dall’elsa intarsiata come quello che aveva perduto nella gola dell’Ankheg. Sebbene pronto alla battaglia, Dakkar decise di negoziare con lo sconosciuto, il quale armi in pugno ebbe il tempo di constatare che nessuno degli avventurieri era un uomo di Strom. Riposta l’arma, egli si presentò con il nome di Goya, in cerca come loro di un passaggio per penetrare nel palazzo e liberare l’amico Turac.
Sebbene fossero stremati, gli avventurieri decisero di proseguire, e si volsero verso Malek, che li riunì a sé e curò le loro ferite spazzando via la spossatezza accumulata nei giorni passati. Rinvigoriti dai poteri del druido, gli avventurieri erano davvero pronti ad affrontare il tiranno di Enkara, l’ammiraglio Strom.