Si narra che quando Tothmekri venne accolto tra i Signori di Acheron, ordinò che gli immortali servitori della sua stirpe erigessero un monumento perfetto per onorare i suoi spietati e vendicativi dei. Fu così che tra le dune, intorno alle mostruose cittadelle scolpite da mani inumane si levò la prima piramide, la cui geometria ispirava il rispetto della legge nel cuore degli uomini. Tuttavia, la sua perfezione diede discontento ai demoni di Acheron: perché niente di ciò che è distante dal caos può compiacere le menti di coloro che vivono nel reame dell’incubo.
Davanti ad una piazza atterrita, tre ragazzi appena poco più che fanciulli attendevano la fine loro annunciata dagli implacabili cappi. Ad ogni angolo del piazzale vi erano piccoli gruppi di uomini del teschio rosso, e su un’alta balconata, ben visibili, scrutavano la piazza cinque guerrieri armati di archi lunghi. La trappola per i ribelli sembrava accuratamente disposta, e il capitano Sabre dopo aver elencato i crimini commessi dai rivoltosi, propose di scambiare la vita dei tre ragazzi per quella del condottiero della resistenza.
Innanzi a tanta crudeltà, Chandra levò la sua voce e inaspettatamente non fu l’unica: Turac, giunto nel piazzale si fece avanti dichiarando di essere alla guida della resistenza. Dakkar e Kadmos, intuendo che la situazione stesse per esplodere, penetrarono nell’edificio sulla cui sommità si trovavano gli arceri, e mentre il capitano Sabre veniva distratto da Xirtam e atterrato dal poderoso pugno di Turac, uccisero con rapidi e letali fendenti i cinque guerrieri di Strom.
Chandra e Xirtam si occuparono di liberare i tre ragazzi, che fuggirono tra la folla; ma non riuscirono ad allontanarsi essi stessi, e mentre i soldati del teschio rosso confluivano da ogni parte la voce del capitano Laranga tuonò improvvisamente sopra il clamore. Egli ordinò che gli uomini si dessero da fare per cercare subito i ribelli fuggiti, lasciando andare Turac, Xirtam e Chandra. Dakkar e Kadmos discesero abbastanza rapidamente da mimetizzarsi tra la folla e allontanarsi, prima che il sangue che avevano versato venisse notato sulle proprie vesti.
Gli avventurieri erano appena rientrati alla locanda del Randagio Ubriaco, quando uno degli avventori avvertì Thor dell’arrivo di un grande veliero: Sakumbe era giunto ad Enkara, e immediatamente le strade tornarono a brulicare di agitazione. Il gigantesco nero avrebbe offerto un maestoso spettacolo con la sua sola apparizione, troneggiando su una bestia alta due volte un uomo, dalla pelle grigia e lunghe zanne d’avorio. Sakumbe reggeva tra le dita serrate lunghe catene, all’estremità delle quali erano legate per i polsi due decine di donne tra le più meravigliose che si fossero mai viste. Al seguito della mostruosa cavalcatura seguivano i suoi muscolosi eunuchi, vestiti soltanto di un elegante perizoma e da soffici calzari, armati con corte spade a lama piatta portate con disinvoltura ai fianchi.
Se il passaggio di Sakumbe aveva impressionato alcuni tra gli avventurieri, anche il suo vascello non fu da meno: la galera era imponente, grande il doppio e oltre del vascello di Redrick, e ad i suoi remi erano incatenate decine e decine di schiavi. La visione, così maestosa, ispirò in Dakkar un sentimento distruttivo e decise che quella notte avrebbe scatenato un incendio su quella nave che così arrogantemente ingombrava i moli di Enkara.
Il resto del giorno trascorse senza particolari eventi e con il favore delle tenebre, Dakkar e Xirtam misero in atto il piano che avevano progettato. Andrey forzò l’ingresso della bottega di Cacopulos, e Dakkar fu lesto a prelevarne alcune ampolle d’olio. Recatisi su un’alta collina da cui erano visibili i moli di Enkara, Dakkar scaglio tutte le frecce incendiarie a sua disposizione contro la prora della nave, causando non poco scompiglio sulla tolda, ove i servitori di Sakumbe si affrettavano a impedire il propagarsi del un rogo.
Compiuta la loro bravata, Dakkar e Xirtam si riunirono ai propri compagni, pronti a risalire il sentiero che conduceva sino alla magione di Mithrelle: tuttavia per la prima volta ebbero la prova del perché i soldati di Strom temevano tanto i dintorni della magione di notte, e un’orda di guerrieri scheletrici sorse lentamente dal suolo, circondandoli da ogni parte.
Prima che il cerchio si potesse chiudere su di loro però, Jack Faust corse in avanti, seguito da tutti i suoi compagni, e raggiunta la magione di Mithrelle balzo versò i battenti, spalancandoli. L’orda di non morti che li seguiva si arrestò alla base delle scale, ma per sicurezza gli avventurieri sprangarono le porte.
Nella vasta sala dominata dalla gigantesca statua che raffigurava tre serpenti intrecciati, un’altra porta a due battenti si aprì cigolando sinistramente. Mithrelle li attendeva.
La strega grigia era assisa su un trono dalla foggia mostruosa al termine di una lunga sala, dominata da sei ampie colonne ornate dalle ossa inchiodate di combattenti dimenticati. Attingendo a tutto il proprio coraggio, gli avventurieri si prepararono a quell’ennesimo confronto. Da Mithrelle appresero i segreti obliati dell’antica stirpe di Acheron, uomini innanzi ai quali persino i demoni dovevano inchinarsi, e il vero potere del Talismano dell’Ombra, che aveva liberato Strom dalle briglie del culto di Kardys. Ma quando Unghialunga chiese in quale modo avrebbero potuto ricordare il proprio passato, la strega grigia offrì il suo aiuto solo in cambio dell’unico oggetto che avrebbe potuto permetterle di annientare Strom, divenuto una minaccia per i seguaci della dea dell’omicidio.
Tuttavia, Mithrelle ammonì gli avventurieri: non era possibile penetrare nel palazzo di Strom con mezzi comuni, e l’utilizzo di qualsiasi incantesimo sarebbe stato percepito dall’ammiraglio, perché la stregoneria è vicina al reame dell’incubo abitato dai demoni di Acheron. Vi era però un uomo in grado di aiutarli, lo stesso che aveva condotto il compagno animale di Chandra sull’isola di Idra: egli avrebbe potuto spalancare le porte della fortezza dell’ammiraglio.
La ricerca di questo misterioso individuo sembrava affidata alla iena maculata che si accompagnava ormai da qualche giorno a Chandra: tuttavia, come spesso accade per gli uomini di ventura, anche l’impresa più semplice si sarebbe rivelata piena di molte e letali insidie.