Sorgevano dalle sabbie immobili per marciare al suono dei Corni di Acheron, mentre i bastioni della luce ardevano avvolti dalle fiamme infernali ed i vili seguaci di Seth si nascondevano per sfuggire all’ira del loro immortale e vendicativo signore. Stygia si torceva come un’immenso serpente, e nelle piazze le parole dei profeti si rivelarono autentiche: perché non è morto ciò che in eterno può attendere.
Nonostante i pareri discordi, gli avventurieri decisero infine di recarsi al rifugio di Nadine, ove furono accolti da Noriast. Incerto se fidarsi o meno del capitano dei fuorilegge, Dakkar decise di mentire sul nome scritto sulla pergamena in loro possesso; Noriast non ebbe esitazione a dimostrare di sapere che il nome rivelato non era esatto, esprimendo nel contempo la sua perplessità sugli accadimenti; era infatti strano che Nadine fosse stata così preoccupata di un rituale il cui esito si era dimostrato inefficace.
Dopo essersi congratulato con gli otto avventurieri per il compito appena svolto, Noriast li presentò ai combattenti che avevano giurato di abbattere il dominio di Strom. In una delle sale che un tempo ospitarono i cadaveri di uomini dimenticati, i calici si levarono per brindare al successo della missione degli otto naufraghi. Tuttavia, una fastidiosa inquietudine aleggiava su quel brindisi rendendolo inspiegabilmente amaro… un brindisi spezzato presto dall’irruzione di uno degli uomini di Noriast, recante un tetro messaggio: le guardie del corpo di Nadine erano state rinvenute nei pressi del rifugio, uccise da un orrendo sortilegio.
Recatisi sul posto insieme a Noriast ed ai suoi uomini, gli avventurieri constatarono l’orrenda morte a cui erano stati condannati i due soldati. Mentre discutevano sul da farsi o su chi avesse potuto aggredire Nadine e la sua scorta, Andrey si premurò immediatamente di esaminare con cura il terreno, scoprendo che tre individui erano giunti nel luogo dell’aggressione, ed uno solo, dal passo leggero, ne si era allontanato. Noriast tuttavia era riluttante a credere alle parole dell’avventuriero: se Nadine avesse voluto tradire i cospiratori avrebbe avuto occasioni molto migliori di questa.
Non era possibile mettersi alla ricerca di Nadine a notte fonda, quindi il gruppo si divise dagli uomini della resistenza. Kadmos, recuperata un’altra piccola imbarcazione, condusse il gruppo a Enkara alla taverna del Randagio Ubriaco. Ishmaela non era presente, e apparentemente non restava altro da fare che riposare, sperando che la notte portasse consiglio sul da farsi.
Il giorno successivo, nell’attesa delle nuove tenebre, gli avventurieri impiegarono le prime ore di luce aggirandosi per le polverose vie di Enkara. Jack Faust e Xirtam decisero di recarsi da Bartolomeo per scambiare le rare piume che avevano trovato sul vulcano, tuttavia quando furono innanzi allo scriba, egli avanzò una richiesta differente. Preoccupato per le sorti di Tarisha, che non era rientrata nella sua bottega da più di tre giorni, Bartolomeo pregò gli avventurieri di cercarla nella vicina palude, temendo per la sua sorte. Chandra che desiderava incontrare da tempo Tarisha, accettò subito, ma mentre Xirtam stava per scambiare la piuma che aveva trovato, il sinistro Quesado fece il suo ingresso insieme a quattro uomini del teschio rosso, interrogando crudelmente Bartolomeo proprio sulla scatola lignea trafugata la notte prima da Unghialunga.
L’arroganza di Quesado e gli occhi imploranti di Chandra fecero breccia nell’insensibilità del cuore di Unghialunga, che decise di aiutare lo scriba. Tuttavia, troppo a lungo le sue dita non avevano praticato l’Arte, e il suo incantesimo si torse contro i suoi stessi compagni: Chandra e Xirtam caddero vittima di un sonno stregato prima che potessero rendersi conto di ciò che accadeva.
Per fortuna, nessuno aveva fatto caso al biascicare di Unghialunga, e forse Quesado non poteva credere che in quel ragazzo si nascondessero dei poteri arcani. Nessuno sospettò che Unghialunga fosse il responsabile di quei due bizzarri svenimenti, e Quesado, credendo si trattasse di un folle stratagemma per non lasciare l’abitazione, si diede pena di prendere a calci quelli che credeva banali commedianti, obbligando subito dopo Bartolomeo a seguirlo verso il palazzo del tiranno.
Non potendo aiutare il gentile scriba in nessun modo, gli avventurieri decisero di cercare tracce di Tarisha nella palude così come era suo desiderio. Xirtam dalle dita lunghe, si era comunque appropriato di una borsa nella bottega di Bartolomeo, con il cui contenuto finalmente acquistò una delle spade dal filo affilato di Turac prima di raggiungere i suoi compagni.
L’esplorazione della palude non avrebbe impiegato più di mezza mattinata, e gli avventurieri erano fiduciosi di rientrare presto ad Enkara; ma quando si trovarono vicini al centro dell’acquitrino, ove la nebbia si levava più fitta nonostante il chiarore del sole che si intravedeva oltre la chioma degli alberi, una bizzarra creatura si parò loro innanzi: era una iena maculata, un’animale che difficilmente si poteva associare alla palude, e che risvegliò in Chandra ricordi da tempo dimenticati.
Fidandosi della guida di quello che un tempo era stato il suo compagno animale, Chandra non esitò a tuffarsi nella nebbia, rinvenendo infine un bizzarro medaglione di metallo affogato nel fango. Prima che potesse interrogarsi sul significato di quegli accadimenti, un orrore strisciante emerse dalle basse acque della palude. Un Idra a tre teste dal corpo serpentino aggredì gli avventurieri, e le sue zanne luccicanti scattarono avanti e indietro mordendo crudelmente le carni di Jack Faust, Dakkar e Chandra. Cercando di aggirare la belva, Andrey e Unghialunga l’attaccarono alle spalle, infliggendo letali colpi tra le squame del rettile, mentre Xirtam levava un canto ispiratore rimanendo prudentemente al riparo.
Il rettile crollò su se stesso lasciando la spada di Dakkar, la lancia di Chandra e la mazza chiodata di Jack Faust vittoriose sulle tre teste mostruose. Tuttavia, quando Dakkar si avvicinò per strappare uno degli occhi alla creatura, questa si destò in uno spasmo terrificante: soltanto i riflessi di Dakkar salvarono il suo arto dalla spaventosa morsa, e i suoi compagni furono veloci ad infliggere ulteriori colpi sul rettile. Il mostruoso corpo continuava ad ondeggiare debolmente, e gli avventurieri avevano una gran fretta di allontanarsi, ma Chandra insistette guidata dal suo compagno animale, e si avvicinò ad una grande quercia, stritolata dalle piante parassite della giungla. Eppure nella parte centrale del tronco, una terrificante rivelazione l’attendeva: i contorni del corpo di Tarisha, fuso con la corteccia, protrudevano dal tronco dell’albero, le braccia spalancate e il viso chiaramente visibili tra il groviglio di liane.
Utilizzando i poteri appena ritrovati, Chandra ascoltò il lamento della vecchia quercia, scoprendo che la vitalità di Tarisha si era quasi del tutto dispersa nella linfa della grande pianta. Percepì la sofferenza vegetale alla fetida presenza dei miasmi e delle piante parassite, ed insieme ad essa vide chiaramente alcuni dei recenti accadimenti: Nadine, le cui braccia erano adesso ricoperte da voluttuosi tatuaggi, aveva condannato Tarisha con un orrendo sortilegio, accusandola di averla seguita e di avere scoperto un segreto che doveva restare celato. Ma in ciò che restava del cuore di Tarisha, Chandra scorse l’innocenza e comprese che la povera giovane si era semplicemente trovata nel luogo sbagliato al momento più inopportuno: il caso o il destino avevano decretato la sua morte senza che lei avesse partecipato minimamente di quella scelta.
Le ferite riportate dall’immonda creatura avevano stremato gli avventurieri, e sebbene Chandra avesse la chiara percezione di essere vicina alla soluzione del mistero, decise di allontanarsi, mentre la iena maculata le si accompagnava fedelmente al fianco.