Ballata dei sei prodi

Sei prodi all’alta Glenthia ecco arrivare
e non il grifon nero dalle mura
saluta, non già tromba odi squillare,
ma l’aere ammorbar la sozzura,
ché vedi sue limpie acque rosseggiare.
Del valoroso Robrain non più pura
cade la man con anco la cittade,
regna però di Krisha la beltade.

Il popolo tutto era sgomento,
piangendo forte morte e distruzione,
li uomini d’arme pleni di tormento,
ma i sei valenti alcun scoramento
mostraron e presti fur all’azione.
La Croce sollevaron qual memento
e come un sol uom alla Scacchiera
squassarono dei non morti la schiera.

Il Sapiente poi del male la fonte
trovò sotto il Domo distrutto.
Era ivi donna charmante, di fronte
vegliava rea a terribil costrutto,
di liquore vermiglio negro ponte
alle infernal plaghe. Ma loro frutto
ecco tre orribil garguglie planare
che i sei all’inferno fanno tornare.

Segue Galaverna e la strega fugge.
Con motto maligno ha il sopravvento
e lo spirto guerrier ch’entro gli rugge
intanto del saggio dorme. “Or sento”
dice pio Brandano “che presto sfugge
al prode saggio della vita il vento.”
Lo desta ed ei pronto: “Il tempo punge!”
‘Ntinge la mano con fermo cipiglio
e trae dal rosso sasso vermiglio.

A settentrione oltre le mura bianche
si va innanzi, ma Esmeralda prima
con bacio d’amor il forte John stanche.
A Muria si sta, che nessun l’anima.
Di poi in una selva si ferman anche e
colui ch’è l’autor di questa rima,
Martin, in posto che tacere è bello,
senz’arme (perch’ivi non d’uopo è duello!)

viene attaccato nell’onor e in carne
da grignante gnoll, orribil creatura.
Nove eran quelli, ma… basta parlarne:
con spada, lancia, mazzafrusto, ordura
ammonticchiata arrrivaron a farne.
Brandano e Bartolomeo, oh sciagura,
rimasti a terra son in fin di vita!
Quand’ecco che il Saggio Brandano aita

e questi il buon Bartolomeo soccorre,
che rivela, credendosi perduto,
non sol di Rorik re notizia porger
dovesser, ma dir se avesser veduto
delle Terre di Erin dall’alta torre
(ardua missione) stranier astuto.
Egill il pio, Galaverna, Brandano,
Rudolf, John e Martin ascoltan piano.

Mezz’elfo Turgon, che ci aiuta, in tana
di gnoll rivela trovarsi straniero
di Erin, tal Palmir, ch’avea inumana
spada d’origin, Drachnost, che guerriero
usar potrà, se di man non villana,
per sterminare drago Mourne fiero.
Dunque nell’antro di feccia entriamo:
molte bestie uccidiamo e liberiamo

ciò ch’esser dovea uman libagione,
tra cui è senz’arma Palmir vetusto.
Fuor da botola usciam senza tenzone
fin a radura protetta da arbusto.
Qui mago sorpreso ven da bestione
che Martin silente ferisce al busto
e quei all’albin collo Galaverna,
ma pronto lo salva con forza interna

Brandano. Intanto gnoll rivelasi omo;
Feste era già anzi che strega mala
non mutasse: “Amico di Turgon sono
e di Palmir e dunque l’arma cala!”
Celata avea Drachnost di cui dono
ci fa e a sua protezion siam ala.
Già da Palmir e il fu Feste cercato
è Turgon, ma da noi ritorno è optato.

Gentil messeri, cortesi signori,
ai prodi la guerra alle belle i fiori.
Tra andare e venir finita è la storia,
ai vivi il pianto ai morti la gloria.