Diario di Marchesa

  • “La piccola Marchesa”

    Marchesa è figlia di Etienne, fratello minore di Lord Raphael di Lairenne. Quando lasciò la sua città di origine con la sua giovane moglie, decise di dirigersi a sud, stabilendosi nella città di Varetta. Era un uomo scaltro e ambizioso, particolarmente intelligente ma non del tutto onesto e sicuramente non particolarmente morigerato, pur rimanendo lontano dai livelli dimostrati negli anni precedenti da suo fratello. Quando giunse a Varetta non ci volle molto tempo prima che iniziasse a fare affari in questo prospero territorio, sfruttando in particolare le linee commerciali di tessuti pregiati, in particolare dall’est, luogo di origine della moglie Irina, che sfruttò sapientemente, in particolar modo per la comunicazione con i venditori vista l’ampia conoscenza delle lingue della stessa, ma anche contrabbandando in gran segreto animali rari ed esotici, vezzi spesso molto ricercati dalla nobiltà locale. In pochi anni divenne uno degli uomini più ricchi della città, ed è in questa stabile agiatezza che nacque e crebbe Marchesa. Ovviamente non era il suo vero nome. Venne battezzata alla nascita come Marianne Lairenne, ma sin da piccola fu chiamata così, un po’ per una naturale storpiatura del suo nome nell’idioma locale e un po’ a causa del benessere famigliare che portò i contadini e mercanti locali a rinominarla “la piccola Marchesa” appunto. Intelligente e astuta come il padre, Marchesa ebbe un infanzia scandita dal benessere economico ma anche dalla solitudine. Gli unici suoi compagni erano spesso alcuni animali esotici che di volta in volta gli capitava di incontrare nella viletta dove abitava, animali che puntualmente la abbandonavano essendo poi venduti al migliore offerente o talvolta anche uccisi. In particolar modo rimaneva sempre affascinata da quelle piccole creature che avevano in loro la capacità di difendersi da sole, intorpidendo, paralizzando, addormentando o anche uccidendo le eventuali minacce che mettevano a repentaglio la loro vita. Ragni, scorpioni, vipere, ma anche i più insospettabili insetti e anfibi fecero emergere in lei una delle due passioni che la coinvolsero sin dalla tenera età, ovvero una certa predisposizioni all’uso dei veleni. In adolescenza spesso venivano coinvolte nei suoi giochi alcune badanti o cameriere che venivano lievemente avvelenate per testare l’efficacia degli infusi o delle polveri che lei stessa provava a creare, dopo essersi impegnata particolarmente negli studi di biologia, erboristeria e alchimia. Nessuna di loro rimase mai ferita, le dosi erano sempre molto lievi, anche perché i suoi veleni più letali venivano sempre testati su altri animali, come topi, cani o perfino pecore (ma mai su gatti o cavalli, animali per il quale nutriva un particolare affetto). Ma è sempre in adolescenza che emerse la sua seconda passione, o “vocazione” come la chiama lei. Leggendo alcuni dei libri che aveva nella sua piccola biblioteca allestita dal padre, venne in contatto con alcuni manoscritti particolarmente vecchi, alcuni in particolare con lo stemma degli Argagnach, probabilmente portati a Varetta direttamente dal padre dalla sua dimora d’infanzia. Fu così che venne a conoscenza di alcune pratiche di divinazione, di cui alcune fuori dal comune; chiromanzia, astrologia, necromanzia, aruspicina e accenni su come interpretare le rune magiche. Ma soprattutto fu attratta dalla cartomanzia, espressa in particolare su un antico tomo che riportava le immagini degli arcani maggiori su alcune delle sue pagine. Dopo averlo letto tutto in una notte non ci pensò due volte, prese le forbici e ritagliò tutte le figure degli arcani maggiori disegnate all’interno delle pagine e formò il suo primo mazzo di tarocchi. Quando il padre scoprì l’accaduto diventò furibondo, picchiò la figlia come non aveva mai fatto prima richiedendo in dietro le parti del tomo che aveva ritagliato, ma Marchesa sapeva che se avesse consegnato i tarocchi non li avrebbe mai più riottenuti. Nascose dunque le carte e mentì spudoratamente e ripetutamente dicendo che li aveva ritagliati senza dare importanza alla cosa, che lo aveva fatto solo per gioco o per noia e che quindi li aveva buttati poco dopo averlo fatto. Il padre, pur non avendone la certezza, sospettava che lei non fosse sincera, questo nonostante Marchesa sapesse mentire molto bene, ma era proprio da lui che aveva imparato a farlo e questo Etienne lo sapeva bene. Rimase in punizione per 2 mesi rinchiusa nella sua stanza prima che le venne concesso di poter tornare ad uscire, e lei resistette con una inusuale tenacia per la sua età. Cominciò ad utilizzare i tarocchi sempre in gran segreto dagli occhi dei suoi genitori, spesso con alcune cortigiane o con alcune amicizie che con il passare degli anni era riuscita a crearsi, senza ottenere però mai grandi risultati, presentandolo ai più come un divertente gioco o passatempo. Ma la notte del suo ventunesimo compleanno, dopo aver festeggiato con una piccola festa in casa, Marchesa si svegliò di soprassalto dopo aver avuto un sonno turbolento, forse per il troppo vino rosso bevuto. Non riuscendo a riprendere sonno e quasi senza pensarci prese il suo mazzo di tarocchi e apri di fronte a sé sette carte poste a croce. La carte centrale era l’arcano del Diavolo ma capovolto, con accanto gli arcani della Torre e del Bagatto. Un brivido raggiunse Marchesa e per la prima volta capì che il mazzo “le aveva parlato”, anche se era ancora troppo inesperta per capire a fondo il suo occulto linguaggio. Il giorno dopo Etienne iniziò a non sentirsi bene, e di lì a breve gli venne diagnosticata una rara forma di malaria, probabilmente portata qui da un paese lontano da uno dei trafficanti con il quale era stato a contatto. In pochi mesi morì lasciando di fatto Irina e una Marchesa ormai adulta ad occuparsi di tutto. In particolare mentre la madre presenziava gli eventi sociali e mondani della città e si occupava della gestione delle vendite “oneste” delle stoffe pregiate, Marchesa decise di prendere il posto del padre nelle faccende più scomode e disoneste. D’altronde il tenore di vita al quale era sempre stata abituata andava mantenuto in un modo o nell’altro…

  • “Una cena importante”

    La casa era più decorata del necessario. La villetta di Marchesa torreggiava oltre i palazzi dei suoi ricchi vicini.
    Situata all’interno dell’èlite di Varetta, la Città Alta, Marchesa stava intrattenendo un ospite e compagno d’affari del padre dei Bassopiani: Tancredi Rainoldi.

    Marchesa e Tancredi erano soci in affari da quando il padre era morto. La rete di spie e trafficanti di Marchesa controllava buona parte della Città Alta, mentre l’impero criminale di Tancredi si espandeva dai Bassopiani fino ai monti vicini sviluppandosi nell’entroterra. Nonostante il potere che aveva nei Bassopiani, Tancredi non faceva ancora parte della Città Alta. I suoi vestiti migliori, che erano chiaramente usati, erano pomposi per un uomo senza titolo nobiliare, ma fuori stagione e meno notevoli per un ricco mercante. Marchesa l’aveva invitato a cena in maniera del tutto inattesa, ed anche con una certa imprudenza. Erano seduti nella sala da pranzo da soli, fatto che permise loro di consumare un pasto più intimo. Invece di stare seduti agli estremi di una grande tavola pensata per qualche cena più importante, erano seduti l’uno di fronte all’altra a non più di due metri di distanza.
    Tancredi non aveva ancora raggiunto la mezza età, anche se per la sua tipologia di lavoro questo l’avrebbe comunque reso “anziano”. Era bello sotto certi aspetti, con i suoi capelli biondo rossiccio ed i denti più curati della media. Fu con il suo bell’aspetto ed il suo fascino innegabile che iniziò a sfruttare le sue prime vittime. Anche se vestiva secondo la moda della stagione prima, un vestito un po’ pacchiano di tessuto dorato, Marchesa notò che Tancredi era ancora piacevole alla vista; sarà stata forse la terza volta che lo vedeva e mai da una distanza così ravvicinata.
    Lei aveva i propri capelli corvini appuntati con spilli decorati. I nobili ed i commercianti si continuavano a chiedere la ragione per cui Marchesa si ostinava a vestirsi secondo la moda delle donne più anziane di Varetta, nonostante fosse ancora sufficientemente giovane. Persino ora, ad una cena più informale, indossava un vestito che si poteva vedere comunemente nella Camera Alta durante una votazione, appena sgualcito per di più. Alcuni sospettavano che si vestisse in quel modo per evidenziare il ruolo che desiderava sugli altri, mentre le malelingue che si credesse la governatrice della città. Lei ha sempre sorriso a queste dicerie, perché in realtà vestiva in quel modo semplicemente perché le piacevano i vestiti, ed anche se si riteneva una donna dai grandi secondi fini, il suo abbigliamento non ne aveva.
    Indossava inoltre anche un anello su ogni dito, ciascuno costoso e decorato. Il più grande era il rubino che indossava sul suo dito medio sinistro. Ogni anello ospitava un veleno diverso, ma il rubino conteneva una piccola dose del più letale che conosceva.

    Ed eccoli seduti, regali e composti, due commercianti o, per un occhio più attento, due facoltosi ladri che consumavano lentamente il proprio pasto di agnello arrosto e verdure esotiche al vapore. L’unico suono nella stanza era il tintinnio dell’argenteria contro i piatti, i coltelli che tagliavano la carne e che raschiavano il piatto sottostante. Poi Tancredi, senza alzarsi a guardare la sua ospite, parlò.
    “Penso che ti farò uccidere” disse, poi diede un morso ad una cioppa di pane estremamente imburrato.
    Marchesa smise di tagliare il cibo, ma solo per poco tempo, e continuò a fendere attentamente la pietanza.
    “Oh?” rispose lei dopo il suo silenzio. Mangiò un boccone del proprio cibo, con gli occhi fissi sul piatto. “E come faresti?”
    Tancredi guardò Marchesa e si spinse contro la sedia, sedendosi diritto.
    “Sarebbe una bella sfida, certamente, ma ho un piano.” disse, sicuro di sé.
    Marchesa bevve un sorso di vino e ruppe un po’ di pane dal cestino di fronte a lei.
    “E perché vorresti uccidermi?”
    “Per affari, puri e semplici. Sono stufo di rimanere relegato nelle pianure, e la mia rete si sta spostando progressivamente nella Città. Tu, mia cara, sei il mio unico ostacolo. E so che non permetteresti mai ad un rivale di avere così tanto potere nella tua città.”
    “Capisco. Ma ti prego, non stuzzicarmi con delle nozioni vaghe,” disse Marchesa, quasi canzonandolo. “Devo sapere come pianifichi di porre fine alla mia vita. Dimmi più dettagli.”
    Tancredi posò entrambe le mani sul tavolo, si pulì la bocca con il tovagliolo di stoffa e sorrise.
    “Bè, ovviamente non ti attaccherei ora. Hai almeno due… no, tre uomini, tra le tue mura, probabilmente legati alla tua protezione se tu o loro doveste percepire del pericolo.”
    Marchesa si sistemò sulla sedia sorridendo, mentre sorseggiava il suo vino, stringendo il bicchiere sul lato con nonchalance ed appoggiando il braccio sul bracciolo della propria sedia.
    “Non ne uscirei vivo,” continuò Tancredi. “Anche se ti abbattessi ora dove sei seduta ed utilizzassi una magia per renderti inerme, dovrei comunque lasciare la casa. Avrei due vie di fuga: il vialetto o le fogne, le quali, dato che ho assassinato l’archivista cittadino e rubato le planimetrie di casa tua, so che conducono alle tue cantine. Allo stesso modo, ho il forte sospetto che se non riuscissi ad assassinarti ma in qualche modo mi ponessi in salvo sarò certamente colpito da un qualche tipo di oscura maledizione che mi lascerebbe in uno stato di dolore indicibile, senza mai morire.”
    Ovviamente questa era una pura provocazione, nata da alcune dicerie sul suo conto che la accusavano di stregoneria, ma entrambi sapevano che Marchesa non era in grado di fare nulla di tutto questo.
    Tancredi ridacchiò. Marchesa si versò del vino.
    “Perché dovrei lasciare le vere planimetrie della mia dimora all’archivista?” chiese Marchesa.
    “Certo, non sono le vere planimetrie, anche se non avevo dubbi che avessi mandato degli oppressori ad intimidire l’archivista in modo che pensasse che fossero quelle originali, e che tenessi d’occhio il buon uomo in modo da sapere se qualcun’altro si fosse avvicinato. Questo dovrebbe significare che la cantina non porterebbe alle fogne, o, se lo facesse, potrebbe farmi cadere in uno scivolo che mi farebbe volare giù dalla città, precipitando verso morte certa nei bassopiani di sotto.”
    “Mi dai molto credito, Tancredi. Ti ringrazio per la gentilezza.” Marchesa posò il suo bicchiere sul tavolo e si sporse in avanti, appoggiando la testa sull’arco formato dalle sue mani. “Ti prego, vai avanti.”
    Tancredi sorrise, fece per tossire e continuò.
    “Sapendo che l’archivista sarebbe stato una pista morta, perdona il gioco di parole, avrei dovuto pensare ad un modo per colpire da una certa distanza. Ora, il mio primo tentativo sarebbe stato quello di avvelenarti il cibo, ma dato che è uno dei tuoi metodi preferiti di assasinio, saresti ben preparata contro questa manovra. Immagino che tu faccia arrivare il cibo da diversi luoghi, alcuni addirittura da altre città, usando corrieri diversi ogni volta, in modo da non dare a nessuno l’opportunità di manomettere i tuoi pasti. Sono anche abbastanza sicuro che daresti il tuo cibo in pasto a… no, non sei tanto crudele da farlo ad un tuo impiegato… ma forse ai ratti o ai goblin se mai ce ne fosse qualcuno, per vedere se crollano. Quindi, ucciderti attraverso il tuo cibo sarebbe fuori questione.”
    Era evidente che l’ospite si stava divertendo nel ricreare una sorta di teatrino interpretativo delle sue congetture sulle possibili alternative al piano che aveva preparato per la serata.
    “E’ bello sapere che questa non sarà la mia ultima cena.” commentò Marchesa. “Avrei preferito una migliore annata di vino.”
    “Abbastanza.” concordò Tancredi allargandosi il foulard intorno al collo. Si distese sulla propria sedia. “Ho notato che non viaggi regolarmente, ma quando lo fai, c’è sempre almeno un agente vestito da nobile o da passante, che ti accompagna. Un assalto diretto farebbe molti morti, e tu hai abbastanza contatti che ottenere aiuto sarebbe difficile. Ti arriverebbero all’orecchio voci della mia sedizione.”

    “Sembra che io non abbia nulla da temere” disse Marchesa, ancora sorridente.

    “Oh, e invece dovresti, perché c’è la tua debolezza.” disse Tancredi, questa volta bevendo molto vino. “Entrambi, come rischio del mestiere, ci affidiamo troppo ad altri. Che cos’è un ragno quando non può fidarsi della propria tela? La gente può venire spezzata, la gente può cambiare lato. Così come coloro che ti proteggono e sono tuoi agenti per tutta la città; tutto ciò che mi serve fare è trovare qualcuno da comprare all’interno della tua organizzazione.”

    “Verissimo, ovviamente, e immagino che tu lo abbia già fatto se ti trovi a cenare con me questa sera?”

    “C’è stato un problema di accesso. Quelli che lavorano nella tua dimora sarebbero difficili da approcciare; penso che ognuno spii gli altri come parte del loro lavoro. Mi servirebbe trovare qualcuno fuori dalle tue operazioni, qualcuno che potrebbe ricevere ordini da coloro a cui tu dai ordini, ma non troppo lontani dalla cima. Mi servirebbe qualcuno come un caposquadra che sorveglia le spedizioni o un notaio che distribuisce fondi ai tuoi venditori stranieri. Mi servirebbe qualcuno come…”

    “Ti senti bene Tancredi” Lo interruppe Marchesa.

    Tancredi tossì e bevve del vino per calmare la sua gola in fiamme. Marchesa colse l’opportunità per mangiare altri bocconi del suo cibo, spostandosi dalla carne alle verdure, che ora erano un po’ fredde, ma sempre costose e deliziose.

    “Sì” disse Tancredi, sempre tossendo, con il volto leggermente più rosso a causa delle sue convulsioni. “Come uno dei tuoi sottoposti per il commercio. Userei un mio agente per scoprire le sue debolezze, come la sua famiglia. E poi lo estorcerei, con la minaccia della violenza, nel darmi informazioni sugli spostamenti del tuo personale. Raccoglierei informazioni nell’arco di qualche settimana per vedere dove saresti stata più vulnerabile”
    Prese a tossire di nuovo, questa volta ritrovandosi con del sangue sulle mani, che ripulì velocemente con un tovagliolo di tessuto che aveva in grembo. Cominciò a capire cosa gli stava capitando, incredulo e spaventato. Come aveva fatto a capire avendo organizzato tutto in una sola notte, si cominciò a chiedere.
    Lei parlò mentre lui tossiva.
    “Io avrei, ovviamente, sospettato di un tale sotterfugio ed avrei posto fine alla vita della persona corrotta per precauzione. Allo stesso modo, avrei localizzato la tua spia e cambiato la sua alleanza in cambio di oro, permettendomi di tenerti meglio sotto controllo, inviandoti le informazioni che volevo che sentissi, fino alla decisione di uccidere la spia e riprendermi l’oro. Per sicurezza.
    Ma la verità mio caro è che io sarei stata pronta ancor prima che tu concepissi qualsiasi piano”, disse poggiando l’arcano maggiore dell’Appeso di fronte al volto del suo commensale, che fissò la carta sempre tossendo nel suo tovagliolo insanguinato, con la faccia più paonazza di prima, alzando un dito per chiederle di fermarsi.
    Tancredi capì di aver sottovalutato l’astuzia della sua rivale, o di aver creduto troppo nelle proprie capacità di corruzione. Voltò lo sguardo alla porta vicino la veranda sperando un’ultima volta che si spalancasse permettendo all’assassino che aveva profumatamente pagato la notte prima di entra e colpire la sua aguzzina.
    Marchesa annuì, il sorriso le era scomparso dal volto. “Sono colpita nonostante tutto. Devo dire che sono meravigliata da questa mossa. Suppongo che comunque verrò incolpata per la tua morte in casa mia e affronterò la vendetta dei tuoi associati.”
    Lei si inchinò avvicinandosi un poco al suo invitato: “Qualcosa l’hai effettivamente ottenuta”

    Tancredi sorrise, tremando mentre cercava di stare seduto sulla sedia, ma poi cadde in avanti, con la faccia nel piatto, morto.
    Marchesa sospirò e si mise a giocherellare con i suoi anelli. Si alzò, spingendo indietro la propria sedia, e camminò verso il corpo morto. Voleva baciarlo sulla fronte, ma sapeva bene che esistono veleni che possono essere depositati sulla pelle, e decise di non cedere alla compassione che stava mostrando.
    Invece, camminò fuori dalla stanza per convocare un bracciante, che era stato nel giardino sul retro da prima che arrivasse Tancredi per scavare una buca per il suo corpo.
    Pensò che la missiva che aveva ricevuto qualche settimana prima poteva, alla luce degli ultimi avvenimenti, essere una qualche via d’uscita da quello che sarebbe accaduto in città da lì a qualche giorno e l’idea di allontanarsi per un po’ da Varetta non le sembrava più un’idea così sbagliata.

  • “Il maestro degli assassini”

    “Com’è diverso il paesaggio oltre le montagne”, pensava Marchesa mentre osservava le colline
    avvicendarsi rapidamente oltre il vetro appena smerigliato della carrozza. Si accomodò meglio sui cuscini,
    unico conforto in quel lungo e scomodo viaggio; l’assenza di qualcuno che le guardasse le spalle così
    lontano da Varetta era per lei fonte di una certa inquietudine, ma i suoi tarocchi non mentivano mai:
    compiere il viaggio con una scorta, per quanto modesta, avrebbe moltiplicato i rischi per la sua vita.
    Si morse il labbro pensando che forse aveva sottovalutato i contatti di Tancredi o la quantità d’oro che era
    stato disposto a spendere per toglierla di mezzo prima della sua prematura dipartita. Ad ogni modo, era
    importante che nessuno conoscesse la sua destinazione, almeno fino a quando le acque non si fossero
    calmate. Una visita al suo lontano zio era il diversivo migliore, tanto più che ricordava molto bene quanto
    la sproporzionata ricchezza di Lord Raphael fosse fonte di indicibile invidia per suo padre. Di certo al
    maniero di Lairenne non sarebbe mancato l’arrosto!
    Marchesa non aveva inizialmente preso molto sul serio la faccenda dell’angelo di Bertrando, e sebbene
    sapesse che esistevano molte creature maligne a questo mondo, riteneva avessero ben altro da fare che
    interessarsi ai battibecchi dei mortali. Tuttavia la prudenza non era mai troppa, e Marchesa si ripromise
    di raccogliere quante più informazioni possibili al suo arrivo a Rouen. Forse Lord Raphael era stato
    semplicemente toccato dalla demenza nell’imbrunire della sua vita, ma non si poteva escludere,
    categoricamente, che ci fosse o meno un fondo di verità in quanto aveva scritto.
    ***
    Marchesa era giunta a Rouen da un paio di giorni e aveva trovato la città piuttosto grande e affollata.
    Aveva preso alloggio in una delle locande migliori e dal balcone della sua ampia camera si potevano
    scorgere le sontuose ville che circondavano il palazzo dell’anziano Duca, i cui tetti, ammantati di neve,
    svettavano nell’aria fredda di Rouen. Distrattamente Marchesa ricordò che il Duca non aveva eredi
    maschi, poiché entrambi i suoi figli minori erano morti durante la guerra contro il Re Stregone, ed il suo
    primogenito aveva compiuto il suo fato ancora prima, infilzato sulla lancia di un volgare predone. Una
    famiglia inquieta, questa del Duca d’Aubert, pensò Marchesa, prima di tirare le tende e predisporre il
    tavolo, com’era sua abitudine, per i suoi tarocchi.
    Fino a quel giorno, le carte non le avevano rivelato eventi insoliti, e Marchesa si era divertita a interpretare
    i piccoli fatti che accadevano associandoli agli arcani con grande spensieratezza. Tuttavia quella sera, le
    carte avevano certamente qualcosa da dire.
    Gli Arcani le rivelarono di un incontro inatteso. Forse la sua vita non sarebbe stata spezzata, ma il pericolo
    era grande e soprattutto imminente. Marchesa non riusciva a spiegarsene la ragione, ma come sempre si
    fidò dei tarocchi che non l’avevano mai tradita e si ripromise di usare la massima cautela, fino a quando
    non si fosse allontanata da Rouen.
    Eppure, in quella singola occasione, nemmeno le sue astuzie riuscirono ad ingannare il maestro degli
    assassini del Duca di Rouen.
    ***
    Quando le tolsero finalmente il cappuccio dal volto, Marchesa comprese di essere stata portata in una
    stanza lussuosa, illuminata dal sole che filtrava attraverso ampie finestre a mosaico, appena baciate dalla
    neve. I polsi, ancora legati sulla sua schiena, le dolevano, ma si accorse di aver ancora con sé tutti i suoi
    anelli. Finse di riprendersi lentamente, per avere il tempo di scrutare ciò che la circondava.
    Lo studio disponeva di una magnifica libreria, dove tomi dall’aspetto antico e solenne sembravano
    competere per chi tra loro avesse la costa più decorata. La statua di un leone di ferro nero ochieggiava un
    basso tavolino, su cui era stato posto un raffinato servizio da tè. Al di là di esso, seduto su un divanetto di
    velluto, vi era un uomo di mezza età, abbigliato con vesti comode ma eleganti. La barba e i capelli, che un
    tempo dovevano essere stati corvini come i capelli di Marchesa, erano ormai attraversati da striature
    grigie, ma anziché imbruttirlo, rendevano il volto regolare del suo carceriere quasi affascinante.
    Marchesa attese, poiché non desiderava compromettersi prima di scoprire per quale motivo (e in che
    modo) fosse stata catturata. Aveva forse trascurato qualche precauzione prima di consumare il pasto
    serale? Impossibile!
    Mentre la mente della giovane lavorava alacremente per trovare delle risposte, l’uomo parlò. Il suo tono
    era distaccato, ma le sue parole misero in allarme Marchesa come poche volte le era accaduto nella sua
    vita.
    “Benvenuta nella mia casa, Marianne. O forse dovrei chiamarti Marchesa, come usano fare nella città di
    Varetta?”
    Marchesa non rispose ma accennò ad un aggraziato sorriso per dissimulare il panico. Come poteva essere
    stata individuata così presto, a così tante miglia dalla sua città?
    “Marchesa dunque. Considero un onore poterti incontrare, anche se non avrei mai immaginato che
    sarebbe accaduto in queste circostanze. Posso offrirti una tazza di té?”
    Marchesa, che in pochi minuti aveva recuperato il suo sangue freddo, rispose “Accetterei di buon grado,
    ma ho come l’impressione che le mie maniche siano rimaste impigliate allo schienale della mia sedia”.
    L’uomo accennò un sorriso e alzando lo sguardo annuì oltre Marchesa. I passi chiodati di un soldato
    anticiparono il coltello che recise i legacci che la trattenevano. Marchesa massaggiò per qualche istante i
    polsi doloranti, verificando con impercettibili gesti delle dita l’integrità dei suoi anelli. Dentro di lei sentiva
    salire la stizza per essere stata giocata in quel modo, ma la partita non era ancora chiusa.
    Mentre si sporgeva per ricevere la tazza di té, Marchesa decise che l’attacco è la miglior difesa e chiese
    “Voi conoscete bene il mio nome, ma così mi lasciate in imbarazzo. Purtroppo non so con quale titolo
    dovrei chiamarvi, Sir…?”
    “Mia cara” rispose l’uomo “purtroppo nella mia professione raramente un nome solo è sufficiente. Oggi,
    per voi, sarò Victor de Montrer, maestro degli assassini del Duca di Rouen”.
    Marchesa finse un cortese disinteresse, soffiando sulla superficie del té stando bene attenta a non sfiorare
    la bevanda nemmeno con le labbra.
    “Non posso che cogliere l’occasione per dirvi che sono da tempo vostro ammiratore. Quattro anni fa,
    vedete, mi trovavo a Varetta per svolgere certi… incarichi, che preferirei rimanessero privati. Fu in
    quell’occasione che mi imbattei in quello che ritengo essere uno dei vostri commerci più riusciti. L’affare
    di Romarno.”
    Marchesa rimase impassibile. Mentre l’uomo continuò, spostando il suo sguardo alla strada che si
    intravedeva oltre il mosaico della finestra.
    “Non volete proprio dirmi come avete fatto a cavarvela, in quella circostanza?”
    Marchesa ricordava fin troppo bene la faccenda, ma disse:
    “Non si addice a persona cortese come voi esigere da una dama che riveli i suoi segreti al primo
    appuntamento, mio signore de Montrer. Forse dopo che ci saremo frequentati per un po’…”
    “E sia” disse Victor divertito. “Tenete pure caro il vostro segreto. Ad ogni modo, non è per questo che vi
    ho invitata nella mia casa”.
    “Ci siamo” pensò Marchesa. Cercò di portare alla mente la sequenza dei tarocchi, nell’ultima occasione in
    cui li aveva consultati.
    “Vi è un uomo, vedete, che disgraziatamente è abituato a utilizzare la propria posizione
    impropriamente…”
    La temperanza rovesciata. Qualcuno non era stato in grado di moderarsi.
    “… talvolta, questa sua predisposizione lo pone in situazioni difficili, magari a compiere degli errori…”
    Gli amanti, rovesciati, e la Luna. Un amore non ricambiato aveva portato ad un inganno.
    “… tuttavia, non sempre è opportuno puntare il dito. Noi lo sappiamo bene del resto: chi è senza
    peccato?”
    L’eremita. Bisognava usare prudenza prima di rivelare l’inganno. L’uomo era un nobile, certo.
    “E valutare con sapienza il modo migliore di procedere…”
    La giustizia. Il nobile doveva ricevere adeguata punizione.
    “… voi mi capite, ne sono certo. Non vorreste porgermi il vostro aiuto in questa circostanza?”
    L’appeso. Un sacrificio deve essere fatto.
    Marchesa rispose dopo pochi istanti: “Ne sarai lieta, certo. Ma qual’è il nome del nobile nato dalle mani
    lunghe che nemmeno la lama del maestro degli assassini del Duca riesce a raggiungere?”
    Il volto del consumato assassino era abituato da molto tempo a non lasciar trapelare le sue emozioni, ma
    quel giorno, per la prima volta in decadi intere, dovette cedere ad un’espressione di sincero stupore.
    Marchesa sorrise interiormente, comprendendo che l’assassino doveva disporre di un qualche strumento
    che impediva agli incantesimi la lettura del pensiero. Eppure Marchesa aveva letto nelle sue parole più di
    quanto lui avrebbe voluto. Mentre lo stupore dell’assassino cedeva il posto ad uno sguardo di sincera
    ammirazione, Marchesa seppe che la sua vita non era più in pericolo.
    “Avevo già sentito parlare a lungo dei vostri molti talenti, mia dolce Marchesa, ma vedere all’opera la
    vostra mente è la conferma che ho fatto proprio bene ad invitarvi a questo incontro. Bevete pure il vostro
    tè: mi avete mostrato brillante arguzia, e la vostra vita mi è preziosa”.
    ***
    Marchesa giunse finalmente nelle sue stanze, al secondo piano della locanda. Cedric LeBrisaen, nobile di
    Rouen, aveva lasciato la città all’inizio dell’estate, non prima di aver sedotto l’inesperta figlia del Duca,
    disgraziatamente già promessa ad uno dei rampolli della potente famiglia di LeClerq. Sir Lucas LeClerq,
    per la precisione.
    La giovane, accecata dall’amore, aveva donato a Cedric l’anello nunziale che avrebbe dovuto esibire
    durante le nozze con Sir Lucas, probabilmente dopo una notte tanto appassionata quanto proibita; per
    tutta risposta Cedric era partito in tutta fretta pochi giorni più tardi, senza dubbio temendo l’ira del
    vecchio Duca, fin troppo noto per l’uso indiscriminato della ghigliottina. Il ritrovamento dell’anello era
    diventato quindi un’urgente necessità: le nozze si sarebbero infatti tenute tra poco più di sei mesi, l’estate
    successiva.
    A rendere ancora più imbarazzante la situazione, il vecchio Duca non era ancora al corrente degli
    avvenimenti, ma qualora i fatti fossero venuti alla luce il matrimonio sarebbe stato di certo annullato, e i
    rapporti con i LeClerq si sarebbero incrinati oltre qualsiasi tentativo di riparazione.
    A quanto pare, Cedric si era rifugiato alla corte di Lord Raphael, che lo aveva accolto tra i suoi cortigiani,
    di sicuro ignaro di tutta la faccenda. Facendosi scudo della sua protezione, nemmeno l’influenza del
    maestro degli assassini poteva essere sufficiente per recuperare l’anello, non senza dover rivelare, almeno
    al signore di Lairenne, l’intero inganno.
    Aver riconosciuto Marchesa era stata di certo una gran fortuna per il maestro degli assassini. Egli sapeva
    che Marchesa era legata ai Lairenne, e la sua visita al maniero poteva essere giustificata in molti modi.
    Marchesa si era accorta che il suo ospite non sapeva ancora che ella era diretta proprio al feudo, il che
    significava che le precauzioni che aveva preso da quando aveva lasciato Varetta erano state, in effetti,
    efficaci.
    Per il recupero dell’anello, da effettuare con totale discrezione, Marchesa avrebbe ricevuto un generoso
    compenso, oltre alla gratitudine della figlia del Duca in persona.
    In cuor suo Marchesa non aveva ancora deciso se accettare o meno quelle condizioni, ma pensò che
    aggiungere un abito più idoneo a scalare la ripida parete di una torre non avrebbe poi occupato molto
    spazio nel suo forziere da viaggio…

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