I cancelli di Tullvéch

Gli abitanti di Tullvéch si strinsero nel dolore quando il giovane Raphael fece ritorno a Lairenne, poiché il carro che seguiva il suo bianco destriero portava con sé la salma dell’amato padre, trafitto dalla lama di un nero servo del Re Stregone nella battaglia di Noisser. A quel tempo molti guardavano al giovane Lord con fiducia, certi che egli avrebbe seguito le impronte del caro estinto, amministrando giustizia con lo stesso rigore del padre; il tempo tuttavia dimostrò quanto lontano possano cadere i frutti dall’albero che li ha generati.

Grinwald incedeva caparbiamente, affondando i pesanti stivali nella neve. Il sole era tramontato già da più di un’ora, e la sua unica fonte di luce proveniva dalla lanterna offertagli da Bell. L’animo del paladino era turbato, nonostante fosse certo di non aver deviato dal Sentiero dei Dannati; da qualche tempo infatti lunghi ululati si univano al feroce ruggire del vento, le cui raffiche improvvise sembravano a tratti voler strappare il mantello di dosso ai quattro viandanti, che avanzavano chini e miseri sulla via.

Finalmente, dopo aver risalito un’alta collina, Grinwald vide la meta del loro peregrinare: la foresta si diradava quasi d’improvviso per lasciar posto a quelli che, in estate, sarebbero stati campi coltivati, punteggiati qua e là da fattorie isolate, simili, in quella gelida notte, ad ombre scure su un oceano bianco.

Eppure fu il rifesso brillante della luna sulle acque del lago di Greveil ad attirare l’attenzione del paladino e, quasi sospeso su di esso, la grande isola su cui sorgeva il borgo di Tullvéch. Dell’insediamento si poteva vedere ben poco nella notte, oltre agli aggraziati tetti ammantati di neve che facevano capolino al di là delle basse mura, così lo sguardo di Grinwald si posò sul maestoso castello di Lairenne i cui contrafforti, venti metri più in alto, dominavano severi il piccolo borgo sottostante.

Quando gli altri disgraziati passeggeri raggiunsero la sommità della collina, i loro cuori si rinvigorirono alla vista del maniero, e il gruppo si mosse per raggiungere il lungo ponte che permetteva l’accesso a Tullvéch: tuttavia dopo appena pochi passi, Marchesa sentì il pericolo avvicinarsi, e si voltò di scatto per vedere la grossa sagoma di un lupo nero occupare minacciosa lo stesso punto del sentiero su cui avevano sostato pochi attimi prima.

Al primo lupo se ne aggiunse un altro, e poi un altro ancora: Dorian e Marchesa avrebbero preferito fuggire, ma Bell e Grinwald si prepararono alla battaglia. Non c’era tempo per dividersi: il branco fu loro addosso ed altri quattro grossi lupi emersero dalla foresta per unirsi alla caccia. Ogni membro della compagnia comprese che solo ricorrendo a tutti i propri talenti avrebbe avuto una possibilità di sopravvivere a quella terribile notte.

Scaturiti dalle dita di Dorian, magici dardi incantati sfrecciarono al di sopra del campo di battaglia, riflettendo bagliori argentati sui pugnali di Marchesa e sul solido scudo di Grinwald. Bell, sebbene azzannato da più di un lupo, mulinò la sua bastarda tracciando micidiali archi cremisi, finché gli ultimi canidi del branco fuggirono. Dopo aver medicato le ferite alla bell’e meglio, il gruppo si diresse senza indugio verso le sponde del lago.

Nei pressi del lungo ponte di pietra si trovava a quel tempo una bassa torre di guardia, a ridosso della quale era stata eretta una struttura più recente di legno e mattoni. Oltre le imposte, chiuse in quella notte sì fredda, il riflesso di una luce danzante rivelava che l’edificio era, infatti, abitato.

Quando gli avventurieri vi si avvicinarono, un grido strozzato proveniente da una delle feritoie della torre rivelò che i viandanti erano stati avvistati; di lì a poco la porta d’ingresso del minareto si spalancò e ne fuoriuscì una specie di mezzo gigante dai lunghi capelli neri e dalla folta, disordinata barba, sul cui pettorale di maglia campeggiavano le insegne del feudo di Lairenne. Alle sue spalle si radunarono tosto altri cinque armigeri, tutti visibilmente stupiti dal vedere quattro viandanti, soli, nei pressi del ponte di Tullvéch.

Dopo un poco efficace scambio di battute, la compagnia venne invitata a entrare e a sostare presso il fuoco del posto di guardia, non prima che venisse richiesto ai suoi membri di lasciare le proprie armi all’ingresso: una precauzione, disse il mezzo gigante, fino al momento in cui non si fosse appurato, in effetti, il motivo della loro intrusione nelle terre di Lairenne.

I quattro viandanti accettarono con gratitudine il pasto caldo che veniva loro offerto, rilassando le membra al fianco della confortevole fiamma del posto di guardia. Il mezzo gigante, il cui nome era Gauthier, sedette insieme a loro, interrogandoli sul fato a cui era andato incontro il cocchiere del Cigno Nero, mostrandosi ancor più interessato a quale sorte fosse toccata al carico della carrozza. I viaggiatori di rimando chiesero alcune informazioni sul posto, e quando entrambe le parti furono soddisfatte, Gauthier disse loro che i cancelli di Tullvéch sarebbero rimasti chiusi durante la notte, ma che egli avrebbe fatto preparare dei giacigli nel posto di guardia; il giorno successivo, quando il sole fosse sorto, il mezzo gigante si sarebbe affiancato ai quattro viandanti con una scorta per aiutarli nella ricerca del prezioso equipaggiamento, nella speranza di rinvenire, almeno in parte, anche il carico destinato al feudo di Lairenne. Tuttavia questa storia dimostra che poco o nessun credito bisogna accordare a chi ha macchiato il proprio sangue con quello dei Giganti, perché il loro cuore è nero e il loro ventre gonfio di traditrice bile.

Mentre la conversazione stava per volgere al termine, senza alcun preavviso Marchesa si alzò di scatto, rovesciando in parte il cibo che le era stato offerto; la giovane di Varetta aveva infatti riconosciuto il retrogusto amaro del Morso di Seth e non aveva dubbi: era stata avvelenata.

Non ci volle molto perché la droga facesse effetto anche sui suoi compagni. I quattro viandanti sentirono le membra cedere e paralizzarsi, e soltanto Grinwald riuscì a restare cosciente abbastanza per capire che gli armigeri li stavano portando al di là del ponte, oltre le mura di Tullvéch, i cui cancelli erano dischiusi a dispetto di quanto sostenuto poco prima da Gauthier.

Quando i quattro viandanti ripresero i sensi, si ritrovarono in una solida cella di pietra, chiusa da un cancello di ferro a cui erano state aggiunte due catene serrate da robusti lucchetti. Tutto ciò che possedevano era stato loro sottratto, lasciandoli a malapena coperti dei propri cenci: Marchesa tuttavia non si diede per vinta, e usando una delle sue forcine si adoperò per disserrare il chiavistello che li teneva prigionieri.

Non potendo far altro che attendere, Grinwald scrutò con attenzione le pareti della cella, trovando un inquietante messaggio che alludeva al destino atteso in passato da uno dei prigionieri, lasciato morire di fame e sete al fine di poter essere scuoiato più facilmente della sua pelle. Dorian nel frattempo, aveva iniziato a interrogare insistentemente i suoi compagni, sospettando che tutti loro avessero dei motivi segreti che li avevano spinti a intraprendere un viaggio sì periglioso. Così Grinwald rivelò di essere partito nella speranza di ritrovare il fratello perduto, mentre Bell dichiarò i suoi intenti nel porre fine alla vita della diabolica Zethrela, la strega di Morrowind che riteneva avesse trovato rifugio proprio nel feudo di Lairenne.

Nulla di quanto si dissero tuttavia avrebbe potuto in qualche modo esser loro d’aiuto più dell’ingegno di Marchesa e della sua abilità nel violare i lucchetti che li tenevano prigionieri.

Eppure, nonostante la sua determinazione, al termine del secondo giorno di prigionia, la giovane nobile di Varetta si rese conto che l’impresa era troppo ardua; avendo a disposizione soltanto una coppia di forcine, dovette amaramente arrendersi all’idea che non avrebbe potuto aprire i chiavistelli prima che la morte per sete fosse giunta. Nessuno dei carcerieri infatti si era fatto vivo, nemmeno per sincerarsi delle loro condizioni: segno che a loro era stato destinato lo stesso fato del precedente prigioniero.

Tuttavia, al tramonto del secondo giorno, un biglietto con poche righe riaccese nei prigionieri la speranza: qualcuno si era deciso ad aiutarli. Così si prepararono come meglio potevano, e durante la notte, un mazzo di chiavi venne gettato dalla stretta feritoia sul pavimento della  cella spoglia che li ospitava.

Liberi finalmente dalla prigione, gli avventurieri seguirono le istruzioni del misterioso benefattore, rinvenendo in una delle celle adiacenti a quella che li aveva loro malgrado ospitati, un pozzo verticale, celato alla vista da una pesante lastra di pietra; ad uno ad uno essi discesero, nell’oscurità.

Una bizzarra creatura gelatinosa occupava il cunicolo sottostante, strisciando silenziosa nella tenebra della sua tana, ma Marchesa intuì il pericolo e avvertì il mago veste, il quale, sprigionando dal nulla una fonte di luce, riuscì a rivelare in tempo quel disgustoso orrore, garantendo una via di fuga per l’intera compagnia.

Dopo poco tempo, Grinwald si rese conto di essere vicino ad un’uscita: una spaccatura nella roccia, ostruita per la quasi totalità da neve fresca, lasciava trapelare all’interno la fredda aria della notte. Insieme ai suoi compagni, il paladino si diede da fare per scavare un pertugio abbastanza grande da permettergli di strisciare all’esterno, dove, oltre al turbinare della neve che danzava al suono dello sferzante vento gelido, trovò inaspettato aiuto: una donna, la cui veste verde scuro era nascosta da un pesante mantello di pelle d’orso.

Ad uno ad uno ella aiutò i membri della compagnia a strisciare fuori dallo stretto buco che avevano scavato, e quando tutti i prigionieri ne furono usciti, domandò loro le chiavi della cella, che Bell le consegnò prontamente. A quel punto la misteriosa figura li esortò a seguirla verso una macchia boschiva, che sorgeva poco distante dalle mura di Tullvéch, sebbene nessuno dei sopravvissuti avesse addosso la benché minima protezione dal gelo dell’inverno.

Al limitare del bosco però, una snella sentinella era in attesa; si trattava di un’altra donna, che la loro nuova guida chiamò per nome: Edith.

Ad Edith vennero consegnate le chiavi della cella, e le due donne scambiarono qualche parola prima di abbracciarsi. Poi la prima riprese il cammino addentrandosi nel bosco, e la compagnia la seguì, inghiottita nelle tenebre di una notte che sembrava non avere fine.