Gli anni passarono alla corte di Eireann e la principessa Fiona divenne una fanciulla aggraziata e compassionevole. Il popolo l’amava, e il sire, sebbene rattristato dall’assenza di un erede che potesse un giorno sedere sul trono di Erin, si confortava ogni volta che la giovane portava per lui dei fiori al ritorno delle lunghe battute di caccia. Ma una piovosa notte di quindici anni più tardi le streghe, che il Re riteneva incenerite dalle fiamme, tornarono alle porte di Eireann per la seconda volta. Le crudeli megere destarono il monarca nel suo letto e dissero: “da te che ci hai tradito, prendiamo ora ciò che ci spetta, ma puoi tenere per te il nome di Fiona; poiché la fanciulla che crescerà all’ombra delle paludi di Morrowind la chiameremo Zethrela, e sarà una di noi”.
L’alchimista aveva impiegato quasi tutte le sue scorte di bende e unguenti, ma le ferite riportate dagli avventurieri nella battaglia contro le malefiche creature non morte erano troppo profonde e avrebbero richiesto trattamenti impossibili da dispensare in quel luogo funesto. Eppure nessuno di essi poteva concedersi alcun riposo: il rituale doveva essere prossimo alla sua conclusione e soltanto l’acciaio che portavano con sé poteva porre fine alla vita della spietata megera di Morrowind.
Grinwald si inoltrò caparbiamente tra i corridoi e le sale del palazzo del borgomastro, mentre Marchesa e Bell ne scrutavano ogni angolo, alla ricerca di indizi che portassero al covo di Zethrela, intenta senza dubbio a cantilenare l’arcana stregoneria che avrebbe mutato ogni abitante di Tullvéch in un servile suino. Ogni ambiente che attraversavano rivelava sempre più dettagli della vita dei suoi miserevoli abitanti, ed essi trovarono testimonianze lasciate di proprio pugno dal borgomastro e dalla sua infelice consorte, che per certo tempo fu costretta a servire la strega tra le mura della propria casa.
Sebbene gli avventurieri temessero agguati ad ogni porta, la magione sembrava piombata in un ovattato silenzio spettrale ed essi vi si aggirarono, inquieti e pallidi come spettri. Marchesa riteneva che in qualche modo fossero costantemente spiati, e le sembrava che gli occhi dei quadri appesi alle pareti si muovessero per seguire ogni suo passo.
Dopo aver esplorato quasi tutto il piano superiore, finalmente i quattro compagni raggiunsero la base della piccola torre che si ergeva nella parte posteriore della grande casa del borgomastro di Tullvéch, e Marchesa dischiuse l’ingresso della botola che dava accesso ai sotterranei usando una delle chiavi trovate in precedenza nel vano segreto dello studio di Gilbert d’Englerrand. Ma non appena aprì i battenti, una sorda nenia sgraziata ne emerse, trasportata da un alito di vento freddo e maleodorante; Dorian trasalì: avevano infatti trovato il covo di Zethrela e il decisivo confronto con la strega era imminente. Bell si fece avanti e discese le scale, determinato a uccidere l’incantatrice e liberarsi una volta e per sempre del diabolico parassita che lo aveva accompagnato durante quell’interminabile cerca.
Quando giunsero al termine della contorta scalinata di pietra, essi videro l’ingresso di una lunga sala sotterranea, e sull’ampia parete in fondo ad essa Dorian scrutò per la prima volta le intricate rune stregate che componevano il tetro sortilegio del Cappio di Carne, intessuto da Zethrela negli anni passati con mirabile precisione. Per un istante il mago veste contemplò, colmo di ammirazione, quel rituale così elaborato e complesso, ma il fascino accademico che il Cappio di Carne esercitava su di lui fu presto scacciato dal pericolo imminente. Zethrela stessa si ergeva voltando loro le nude spalle, intenta ad rilasciare il potere dell’incantesimo sugli ignari abitanti di Tullvéch.
Bell e Marchesa entrarono silenziosamente nella stanza, mentre Grinwald, Dorian ed Elinor attendevano pazientemente sulla soglia, ben sapendo che i loro movimenti non sarebbero stati altrettanto silenziosi. La nobile di Varetta tuttavia, nauseata dalle zaffate di zolfo e dai composti alchemici che impestavano l’aria di quell’ambiente chiuso non riuscì a trattenere un delicato starnuto, quasi impercettibile ma non abbastanza da non destare Zethrela dalla sua trance. La megera voltò il capo, celato dal cappuccio verso l’ingresso, e Bell scattò in avanti, mulinando la spada sopra di sé.
Un accecante bagliore si sprigionò al centro della sala, e Dorian comprese che una trappola magica proteggeva Zethrela: Marchesa e Bell ne erano divenuti prigionieri, e di fatto erano alla mercé della strega. Grinwald non perse tempo, e con ampie falcate si precipitò contro l’abbietta incantatrice, mentre Elinor scagliava uno dei suoi composti alchemici contro la parete, seguendo il suggerimento di Dorian, nel tentativo di coprirne le intricate rune e spezzare l’effetto del Cappio di Carne.
Sebbene ferita dall’acciaio brandito dal sacro guerriero di Libra, la strega di Morrowind non era avversario che Grinwald potesse sconfiggere facilmente. Dorian venne sopraffatto da un incantesimo di confusione, mentre una mezza dozzina di Goblin, evocati dai denti stregati di Zethrela, si frappose improvvisamente tra il paladino e la nera incantatrice. Marchesa, facendo appello a tutta la volontà che le era rimasta, riuscì a liberarsi dalla morsa della trappola magica, e afferrato un secchio ne scagliò il contenuto sulle rune che ancora adornavano la parete; subito dopo sguainò le armi e si gettò in battaglia a fianco del combattente sacro.
Bell, ancora prigioniero della trappola magica, decise che il momento era giunto, e toltosi il guanto destro rivelò il terribile demone che abitava il palmo della sua mano: la mostruosità che lo aveva scelto come ospite parlò con voce cavernosa dalla sua sgraziata bocca irta di zanne, evocando la morte su Zethrela; di lì a poco, sulla parete alle spalle della strega, una macchia scura prese improvvisamente ad allargarsi, come infetta da una purulenza che, diffondendosi rapidamente, divorava senza rimorso le rune che ancora erano visibili.
Nel frattempo Marchesa e Grinwald si sbarazzarono dei Goblin, dissolvendo le creature stregate in una nube di fumo denso e acre, mentre Bell, libero dalla prigione magica, si scagliò su Zethrela: ma Dorian, che poteva vedere l’intera parete dalla sua posizione, si rese conto che il sortilegio del Cappio di Carne era ormai fuori controllo e il potere della stregoneria si sarebbe manifestato con effetti imprevedibili, mutando l’intero campo di battaglia in una trappola mortale per coloro che vi si fossero attardati. Il mago veste lanciò un avvertimento ai suoi compagni e imboccò precipitosamente le scale, seguito tosto da Marchesa ed Elinor. Tuttavia Grinwald e Bell non si mossero: il paladino era determinato a uccidere la strega e il guerriero sentiva di non avere altra scelta.
Ma nonostante la foga dei due combattenti, la stregoneria di Zethrela era tutt’altro che vinta. La megera sollevò una mano ed evocò un terrificante fulmine stregato, che colpì entrambi i suoi avversari con la forza di un maglio. Bell crollò al suolo in una pozza di sangue, ma Grinwald, sebbene allo stremo delle forze, non cedette, e obbligò la strega a indietreggiare fino a sfiorare la nera parete.
Al paladino sembrò quasi che la scura superficie del muro sotterraneo che aveva accolto le rune del sortilegio si increspasse, come se fosse costituita d’acqua nera, sospesa perpendicolarmente al terreno. E da quella superficie innaturalmente fluida emerse un mostruoso tentacolo nero come la pece, che avvinghiò Zethrela, sollevandola da terra mentre altre lingue scure ne emergevano, alla ricerca di altre vittime.
Grinwald non perse tempo e con uno sforzo sovrumano si mise in spalla il martoriato corpo di Bell, correndo via dalla stanza. Dorian ed Elinor, preoccupati dall’assenza dei due guerrieri che non li avevano seguiti, stavano nuovamente discendendo nei sotterranei e furono quasi travolti dalla carica del combattente sacro.
Finalmente riuniti tutti alla base della torre, Marchesa si accinse a chiudere i battenti del sotterraneo, ma Grinwald ricordò di aver visto un altro prigioniero nel covo di Zethrela, appeso per i polsi da una lunga catena che pendeva dal soffitto. Non vi era stato tempo per sincerarsi delle sue condizioni, ma nonostante le molte ferite subite Grinwald sapeva di non poter abbandonare un innocente a quel fato terribile. Il paladino si apprestò quindi a ritornare indietro.
Marchesa e Dorian cercarono invano di dissuadere l’amico in tutti i modi, poiché sebbene non avessero visto con i propri occhi quale orrore era stato scatenato dalla magia incontrollata del Cappio di Carne o dalla nera evocazione del demone di Bell, le urla disumane della strega erano state per entrambi prova sufficiente del grande pericolo che ancora si celava nel sotterraneo. Ma il paladino si mostrò irremovibile e ancora ispirato dal furore sacro di Libra, si impose dischiudendo nuovamente l’accesso alle cantine. Infine anche Dorian si arrese, e discese al fianco dell’amico, pur temendo che nessuno di loro avrebbe avuto alcuno scampo contro l’orrore che si annidava adesso sotto la casa del borgomastro.
Ma in questa singola occasione i peggiori timori della veste nera non si sarebbero concretizzati. Dell’innaturale stagno verticale dal quale erano emersi i mortali tentacoli non rimaneva nulla, solo una parete macchiata da una grande chiazza scura, e il prigioniero, inerte, pendeva ancora appeso per i polsi alla lunga catena nell’angolo della sala. Non vi era alcuna traccia di Zethrela, inghiottita da chissà quale mostruosità nell’inconcepibile regno dei servi di Acheron.
Grande fu la sorpresa di Grinwald nel constatare che il prigioniero non era altri che Lorcas, senza dubbio consegnato a Zethrela poco prima della grande battaglia contro i mezzo-giganti occorsa la notte precedente. L’anziano erudito era privo di sensi ma vivo e Grinwald lo portò subito fuori da quel luogo di morte.
Prima di andar via, Dorian rinvenne il grimorio di Zethrela, e scoprì tra le pagine dei suoi incantesimi anche due lettere, entrambe vergate dalla mano di Raphael. Quando gli avventurieri ebbero modo di leggerne il contenuto iniziarono a comprendere quali infausti servigi erano stati portati a termine dalla megera di Morrowind per ottenere i favori del loro crudele avo, l’eco della cui risata corrotta sembrava risuonare ancora tra le lontane mura del castello di Lairenne.