Il banchetto delle ostilità

Persino nei luoghi più selvaggi di Cheemon vige l’arcaica consuetudine di non spargere sangue nelle stesse aule nelle quali è stato offerto e accettato vino e cibo. Chi assistette all’incontro tra i nobili delle marche occidentali alla vigilia del Grande Torneo di Lairenne racconta che fu proprio grazie al rispetto per questa antica usanza che i preziosi broccati della sala dei banchetti non si tinsero di un rosso colore cremisi.

Mentre Bell e Dorian aiutavano Grinwald a disfarsi dell’armatura, Marchesa attendeva in disparte, immersa nei propri pensieri. Il drago non-morto riposava certamente da secoli sotto le mure del castello di Lairenne, e non si era destato nemmeno quando il suo illustre avo Bertrando ne aveva rinvenuto fortuitamente le antiche ossa nelle cripte di famiglia; quante possibilità c’erano dunque che facesse parte delle macchinazioni dei suoi avversari? La nobile di Varetta sentì l’urgenza di consultare i suoi tarocchi, ma un grido giocoso la distolse dai suoi cupi pensieri: la Gran Gara del Lancio del Ciocco stava per avere inizio.

Insieme ad alcuni abitanti di Tullvéch, tra i quali spiccava certamente il massiccio Koung Bourassa, avrebbero preso parte alla villana competizione anche due cavalieri: Sir Boris Belyakovsky e, naturalmente, il suo baldanzoso cugino Grinwald. Quando fu il turno dell’Orso di Kalthenvir, questi ammiccò verso il paladino di Libra annunciando di rivelare la sua insuperabile tecnica di lancio: e così, afferrato il pesante ciocco di legno con entrambe le mani, Sir Boris prese a vorticare sempre più rapidamente su sé stesso, lasciando andare improvvisamente il massiccio fardello verso l’arena degli arcieri. Eppure, sebbene il tiro fosse indubbiamente poderoso, la mira del cavaliere non fu altrettanto accurata e il frammento del tronco andò a rovinare sui venerabili scranni del palco nobiliare, travolgendo e abbattendo i seggi con gran fracasso. Per fortuna nessun nobile nato aveva avuto quel giorno la malaugurata intenzione di assistere a tale popolana competizione, e così non fu necessario piangere alcuna vittima, sebbene i paggi che si trovavano nei pressi raccontarono di aver provato un terribile spavento a causa di quell’inaspettato bombardamento.

Quando fu il turno di Grinwald, egli decise di non ricorrere ad alcun trucco o tecnica dai discutibili risultati, affidandosi unicamente alla sua considerevole forza; ma la sorte non era dalla sua durante la vigilia del torneo, e così il paladino si trovò a perdere una competizione per la seconda volta nello stesso giorno, dovendo cedere al fabbro di Tullvéch il gigantesco cocomero da venti chili che costituiva l’ambito premio della Gran Gara del Lancio del Ciocco.

Poiché l’ora si faceva tarda, Marchesa invitò i propri cugini a tornare a palazzo per i preparativi: il banchetto inaugurale del torneo costituiva il primo incontro ufficiale tra i nobili di Lairenne e i signori delle marche occidentali di Cheemon, e la baronessa ci teneva affinché tutto fosse perfetto, in particolar modo la piega dei propri capelli. Tuttavia, quando dopo alcune ore Marchesa emerse dai propri alloggi per recarsi incontro ai suoi ospiti, non riuscì a celare la sua delusione per la poca cura nella scelta degli abiti dei suoi cavalieri; se soltanto avesse potuto consultare i suoi tarocchi, avrebbe certamente intuito che quel dettaglio sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi durante l’imminente banchetto.

Il Gran Cerimoniere Taddeo scandì il nome e il rango dei nobili di Lairenne al loro ingresso nel grande salone da ballo, entro il quale i nobili di Cheemon attendevano la loro illustre ospite. Marchesa decise graziosamente di recarsi da ognuno dei suoi altezzosi invitati, nella segreta speranza di valutare meglio le loro intenzioni. La baronessa non fu certo sorpresa dalla brusca accoglienza ricevuta da Thorsten Vark, in quell’occasione affiancato dalle sue figlie, Morwen ed Elora, sebbene la compagnia intuì presto che il rancore del vecchio barone era indirizzato, quella sera, verso un altro dei loro ospiti: l’alto inquisitore Guilliman. E sebbene i modi del profumato signore di Anglosoir fossero all’apparenza gentili e non privi di una certa raffinatezza, Marchesa non poté fare a meno di avvertire un gelo profondo nelle sue parole.

L’incontro con il signore di Rorqeut fu per tutta la compagnia una sorpresa: tutti loro avevano udito parlare delle coraggiose gesta di Cartier Brenson, capitano del Trono di Alabastro durante la Guerra delle Due Corone, e mai avrebbero immaginato che il figlio Mathia, che aveva ereditato il titolo alla morte del padre, non fosse altro che un viziato rampollo, che si riempiva la bocca di rozze affermazioni tanto quanto di frattaglie di pollo, che andavano inevitabilmente proiettate a considerevole distanza durante tutte le conversazioni a cui il nobile prendeva parte. La vecchia madre, Ermengarda, sembrava alimentare ulteriormente gli oziosi capricci del figlio, incoraggiando il pingue Mathia Brenson a rimpinzarsi ancor più di quanto non facesse già con le sue sole forze.

Ben più piacevole fu la conversazione con il giovane baronetto Paul Quinsonn, il quale accolse con gioia la baronessa presentandole la sua compagna, Isabeau de Sourvee, benedetta da rara bellezza e talento per il canto. Tuttavia l’attenzione di Marchesa fu catturata presto dall’ingresso del suo ospite più illustre: l’ultrasettantenne Contessa Dijonn, leggenda vivente per qualsivoglia seguace della Croce Nera, e tutta la compagnia non poté far meno di notare il cambiamento nell’espressione di Sir Ponthioc, che si inchinò al suo cospetto come se si trovasse innanzi ad una sacra reliquia del Creatore. Ma quali affari poteva avere questa vecchia dall’aspetto severo e terrible con Charles, il ciambellano di corte, al punto da trattarlo con tale evidente familiarità? Marchesa sentì un brivido attraversarle la schiena, ma non era certo il momento di mostrarsi vulnerabili e fece buon viso a cattivo gioco.

Finalmente il banchetto ebbe inizio, e la baronessa di Lairenne si compiacque dell’organizzazione preparata dal Gran Cerimoniere, sebbene la necessaria presenza al tavolo di Clotilda Zaffirina avrebbe certamente rappresentato fonte di qualche insipido inconveniente. La musica piacevole intonata dal flauto di Lieth, nascosta in un alcova celata da drappi scuri, accompagnò per un certo tempo le chiacchere dei nobili nati, ma quello che sarebbe dovuto essere un cordiale incontro si mutò presto in un infido terreno sul quale sarebbero scoppiate le malcelate ostilità che i suoi ospiti trascinavano con sé.

Quando Dorian cercò di portare l’argomento su Nicodemo, seppur senza rivelare quanto aveva scoperto, Sir Ponthioc si dimostrò molto scettico, dichiarando che la scomparsa dello stregone sembrava di fatto troppo conveniente e che i Crociferi non avrebbero desistito fintanto che non si fosse scoperto il luogo in cui si nascondeva. Dall’altra parte del tavolo Thorsten gongolava nell’apprendere della scomparsa di uno stregone, e presto Dorian dovette far ricorso a tutta la sua pazienza per evitare di scatenare un pandemonio; tuttavia sebbene le sue intenzioni fossero salde, il destino aveva deciso diversamente.

Fu la Contessa Dijonn a fornire (volutamente?) l’argomento che avrebbe finalmente posto l’un contro l’altro l’inquisitore Guilliman e Thorsten Vark; e quella che sembrava un’innocente domanda sulla nuova tassa denominata “dell’equa controparte” finì per scatenare le ire del vecchio barone. Per un istante Marchesa temette che la famigerata spada Squartatrice sarebbe stata sfoderata tra le mura del suo palazzo e con orrore, la nobile di Varetta si rese conto di quanto fossero brutali e selvagge le Marche Occidentali rispetto alle sofisticate città di Tilea, dove persino l’omicidio prevedeva un certo rituale e dovute formalità.

L’intervento della compagnia e l’inaspettata aderenza ad arcaiche usanze scongiurarono il peggio, e Thorsten si ritirò semplicemente inveendo nei confronti dell’Inquisitore; a nulla valsero i tentativi di Paul Quinsonn di riportare la serata a conversazioni più piacevoli: per quanto la voce di Isabeau fosse soave e il suo talento per il canto ammirevole, l’atmosfera rimase tesa, fino a quando l’Inquisitore e Sir Ponthioc si congedarono, scusandosi solo a metà per l’accaduto. Marchesa cercò comunque di intrattenere i suoi ospiti fino alla termine del banchetto, quando infine esausta si ritirò nelle sue stanze.

Non potendo più resistere, la nobile di Varetta prese i suoi tarocchi e le sue carte che, come sempre, non le mentirono. Le macchinazioni dei suoi nemici erano già in movimento, e se non avesse in qualche modo fermato quei terribili ingranaggi, avrebbe pagato con la sua stessa vita il prezzo di quella spietata congiura.