La compagnia della Contessa Dijonn venne invocata più volte a corte, ma colei che aveva assicurato la vittoria al Trono di Alabastro sempre rifiutò di percorrere la strada del Re; poiché il cardinale era cambiato dai giorni di Chateau d’Anglais, e lei stessa non poteva più tollerarne la presenza.
La notte della vigilia del grande torneo di Lairenne avanzava lentamente, ma per quanto fosse soffice il suo guanciale, Marchesa non riusciva a prendere sonno, preda di una sinistra agitazione; infine decise di alzarsi e uscì dalla sua stanza preceduta dall’incerta luce di un candeliere, diretta alla grande terrazza dell’ala orientale del palazzo. Tuttavia ella non aveva percorso che un breve tratto del buio corridoio quando vide due figure parlottare sommessamente all’ombra di un’alcova; il timore di essersi imbattuta nei temuti cospiratori ebbe però breve durata, e Marchesa si avvicinò ai suoi due cugini, curiosa di conoscere il motivo che li aveva spinti a lasciare le stanze loro destinate nel cuore della notte.
Per quanto potesse sembrare bizzarro, soprattutto dopo quanto era accaduto quella sera tra le mura del palazzo, lo stregone aveva deciso che la notte poteva ancora dare qualche frutto e aveva convinto l’assonnato Grinwald a prendere parte ad una inconsueta visita all’accampamento del feudo di Vorthein. Sebbene Marchesa non fosse inizialmente convinta della bontà dell’idea, Dorian si mostrò estremamente determinato, e così finì per coinvolgere i suoi congiunti in una lunga passeggiata notturna. Bell, che nel frattempo aveva deciso di svolgere delle indagini per proprio conto nei pressi del barbacane, vide la baronessa e il suo ristretto seguito avvicinarsi al cancello, e messo al corrente delle intenzioni dello stregone, si unì con riluttanza alla comitiva.
Tuttavia durante il tragitto, nell’angusto abitacolo della carrozza, molti dubbi vennero sollevati sulle potenziali conseguenze di quella audace visita: Thorsten Vark non sarebbe certo stato ben disposto ad accogliere ospiti durante le ore del riposo, soprattutto dopo il velenoso confronto occorso durante il banchetto. Tanto ne discussero che, giunti a destinazione, persino Dorian si era quasi convinto a desistere, ma tutti dovettero convenire che quando ad una baronessa vengono negate le comodità del suo castello, non si può certo tornare indietro. Marchesa decretò che non avrebbe accettato di aver percorso tutta quella strada per niente, e così i quattro eredi di Raphael si incamminarono verso il grande accampamento di Thorsten Vark, illuminato da una luna quasi piena.
Quando superarono i fuochi delle sentinelle che indossavano il macabro stendardo di Vark, furono condotti al cospetto del capitano Gaston Navarre e dopo aver chiarito senza indugio le loro intenzioni, i quattro amici vennero lasciati ad attendere al riparo dell’ingresso della tenda del capitano, dove discussero brevemente su quale potesse essere l’approccio migliore per non irritare ulteriormente il vecchio barone, ammesso che la richiesta di un tale singolare incontro fosse accolta.
Dopo qualche minuto il capitano della guardia fece ritorno, annunciando che il Signore di Vorthein li attendeva e la compagnia venne quindi scortata all’interno del grande padiglione del nobile nato. Thorsten Vark li scrutò torvo dal suo scranno intagliato, e la baronessa si accomodò su un seggio identico innanzi a lui, mentre Grinwald, Dorian e Bell si disposero alle spalle dell’alto schienale.
Come si aspettava, il barone era di pessimo umore, e Marchesa dovette nuovamente ricorrere a tutto il suo fascino per impedire un ulteriore strappo con il feudo di Vorthein, i cui confini erano così pericolosamente vicini a quelli di Lairenne. La conversazione ebbe un difficile inizio, ma la compagnia riuscì a condurla in modo tale da non alimentare ulteriormente il rancore del proprio ospite. Fu tuttavia chiaro che le tensioni che avevano causato la Guerra delle Due Corone, più di trenta anni prima, non si erano mai realmente sopite nella regione, e che i recenti editti voluti dal Cardinale Theodor avevano riaperto ferite mai completamente risanate. Il barone avvertì rudemente Marchesa che non avrebbe potuto svolgere ancora a lungo il ruolo di spettatrice, poiché lo spettro di un nuovo conflitto già serpeggiava nelle terre tormentate di Cheemon.
Prima di lasciare la tenda, Grinwald richiese con cortesia il contributo di Morwen nell’officiare le celebrazioni religiose che avrebbero dato inizio al Grande Torneo il giorno successivo, riscuotendo la piena approvazione di Thorsten Vark. Sulla via del ritorno i viaggiatori meditarono silenziosamente, cercando di trovare nelle parole del barone qualche indizio che legasse la sparizione di Nicodemo, la rivelazione insita nelle ossa dell’Angelo di Bertrando e la minaccia che strisciava silenziosa verso il cuore di Marchesa; infine si congedarono senza risposte, ed ognuno di loro si stese sul proprio giaciglio, accompagnato da cupi pensieri.
L’alba infine giunse, seguita da nuove complicazioni. Durante la colazione, il sacerdote del maniero, Ambrosio, invocò insistentemente l’intervento di Marchesa: le celebrazioni religiose previste per l’inaugurazione del torneo erano a rischio, poiché i Crociferi Neri avevano occupato l’area antistante il palco nobiliare e si apprestavano a condurre una propria solenne cerimonia per lodare la gloria del Creatore. Ambrosio rivelò inorridito che a molti giovani fanciulli, provenienti dalle ricche famiglie mercantili di Lairenne, sarebbe stata negata la possibilità di apparire nel coro innanzi alla baronessa, e Marchesa intuì che il sacerdote doveva aver promesso più di quanto poteva alla corporazione del Cigno Nero, certamente in cambio di un proprio tornaconto. Tuttavia la compagnia decise di intervenire, e così discese dal maniero in fretta, per giungere al grande piazzale che avrebbe ospitato l’importante liturgia.
Sir Ponthioc sorvegliava i preparativi, mentre i Crociferi Neri si adoperavano con zelo per tenere a bada eventuali scocciatori. La compagnia cercò nuovamente una strada diplomatica, e Marchesa convinse il Gran Maestro dell’Ordine a rinunciare allo svolgimento della funzione, promettendo ai templari di officiare la più importante cerimonia di ringraziamento che si sarebbe tenuta nell’ultimo giorno del torneo. Sir Ponthioc infine acconsentì e ordinò ai templari di ritirarsi, lasciando posto per il coro di Ambrosio e le funzioni in onore degli antichi dei officiate da Grinwald e Morwen.
Quando lo spirito dei fedeli fu appagato, i cavalieri presero la scena, sfilando innanzi al palco nobiliare, mentre il vento gonfiava gli elaborati stendardi delle dimenticate casate di Cheemon. Paul Quinsonn e Thorsten Vark sembravano riconoscere alcuni tra i combattenti, che evidentemente avevano conquistato fama in occasioni simili, e quando anche l’ultimo dei nobili senza terra ebbe reso omaggio alla baronessa di Lairenne, i cavallerizzi si divisero nei due schieramenti del Sole e della Luna per affrontarsi nella spietata Arena dei Cavalieri.
Grinwald e Bell, incoraggiati dai propri compagni, decisero di prendere parte alla competizione, e montarono in arcione ai propri destrieri; e quando il corno diede il segnale per la carica, entrambi si lanciarono verso lo schieramento opposto, mulinando con forza le armi smussate che avrebbero decretato il vincitore di quella violenta mattinata.
L’Arena dei Cavalieri era certamente l’evento più importante del Grande Torneo di Lairenne e gli occhi di tutti, servitori, paggi o nobili nati, erano puntati sulla feroce pugna. Grinwald avanzava colpendo tanto con la spada quanto con lo scudo, mentre Bell, miracolosamente ancora in arcione, distribuiva generosamente fendenti a destra e a manca, mulinando le lame come mazzafrusti. Ben presto lo scontro si trasformò in una feroce baraonda, nascosta a tratti dal gran polverone alzato dai cavalli, ma al termine di quel cruento confronto soltanto due cavalieri avevano ancora energie per contendersi la vittoria: Bell e Sir Boris Belyakovsky.
L’Orso di Kalthenvir possedeva una resilienza disumana, ma Bell non si lasciò scoraggiare, e quando l’opportunità si presentò, convogliò tutte le sue energie in un violento colpo finale che schiantò il suo avversario oltre il limite dell’arena, conquistando così per sé la vittoria; e quando il nero combattente gettò via l’elmo ammaccato, la folla cantò il suo nome e il suo viso conquistò, in un solo istante, la stessa notorietà a cui soltanto la stirpe dei re aveva, fino ad allora, potuto aspirare.