Vi sono pochi argomenti che stuzzicano maggiormente gli esperti di necromanzia della macabra fase del “risveglio”, che sancisce la completa trasformazione di una creatura mortale in un potente Nosferatu, capace di ritenere le sue facoltà e il suo raziocinio perlopiù intatti. Tuttavia nessuno stregone si sottometterebbe mai di sua sponte a tale immonda mutazione: poiché il prezzo che l’immortalità esige è l’eterna sottomissione all’empia volontà dei Figli di Caino.
Gli occhi di Marchesa erano puntati sul freddo cadavere di Nicodemo, disteso su un lungo tavolaccio in una delle aule ricostruite al primo piano della Torre Alta, mentre Dorian, simile ad un nero avvoltoio, vi girava lentamente intorno, esaminando meticolosamente ogni dettaglio, cercando risposte e rivelazioni lasciate sul corpo del giovane stregone. Alle sue spalle Grinwald e Bell attendevano pazientemente, entrambi impegnati a decifrare per proprio conto il significato di quegli accadimenti. Eppure la baronessa si accorse che i suoi pensieri venivano trascinati via da quel luogo, attratti da ciò che i suoi enigmatici tarocchi desideravano ardentemente rivelarle; ma quella sera gli arcani le avevano posto innanzi suggerimenti oscuri, la cui importanza, per il momento, le sfuggiva.
Finalmente Dorian rivelò ai suoi compagni ciò che aveva scoperto: il giovane stregone aveva subito numerose percosse, ed era stato probabilmente torturato affinché rivelasse segreti che soltanto lui poteva conoscere. La veste-nera mise inoltre in guardia i suoi compagni: sebbene il suo aspetto suggerisse il contrario, Nicodemo era ben lontano dall’essere un semplice cadavere, e prima o poi si sarebbe risvegliato nuovamente, per obbedire ai comandi della nera creatura che aveva dannato il suo spirito.
Sebbene tutti si augurassero di poter cavare informazioni dal giovane non-morto, Dorian li incoraggiò verso un cauto scetticismo: poiché la creazione di un Nosferatu era materia complessa ancora molto dibattuta tra i necromanti, e numerose teorie erano state formulate sui tempi e le condizioni di quella fase a cui gli stregoni si riferivano semplicemente come “risveglio”.
Il peso degli eventi gravava sui nobili di Lairenne, e Bell cercò di smorzare la tensione, ricordando ai suoi cugini dell’imminente gran torneo di Pochér, a cui Dorian aveva manifestato l’intenzione di partecipare. Tutta la compagnia accettò di buon grado quell’invito, che avrebbe posticipato anche solo di qualche ora, l’inevitabile resa dei conti. Bell ordinò che la guardia innanzi alla Torre Alta venisse raddoppiata, e si assicurò che nessuno aprisse la porta ove era custodito Nicodemo, a prescindere da quali rumori o grida si potessero udire dall’altra parte.
Giunti nuovamente nell’area del torneo, la compagnia si avviò attraverso le tende dei cavalieri per recarsi alla Tavernella. Tuttavia nel passare innanzi alla tenda di Sir Rainard, i nobili di Lairenne decisero di interrogare il nano Bormungurd e verificare quanto era stato suggerito dal loquace Cunotto circa un’ora prima.
Nel piccolo padiglione era però presente soltanto Sir Rainard, che con affettata cortesia indirizzò la compagnia verso i tavolacci dell’improvvisata osteria, luogo ove sicuramente avrebbero trovato il suo avvinazzato scudiero. Ancora incerto sul possibile coinvolgimento del cavaliere, Grinwald preferì non rivelargli nulla, e guidò i suoi compagni verso le festose tavolate del piazzale poco distante.
Quando i nobili giunsero alla Tavernella, i boccali erano pieni di schiumosa birra e i brindisi si susseguivano in onore della vincitrice dell’ultima tradizionale competizione popolana, mentre cori e motteggi si levavano per Sigrunn, una donna dalla folta chioma bruna e selvaggia e dalla corporatura robusta come quella di un uomo. Grinwald scorse Edith aggirarsi tra i tavoli annotando con diligenza i nomi dei partecipanti al gran torneo di Pochér, mentre Bell individuò per primo Bormungurd, assiso insieme ad altri beoni del suo calibro, far festa ad uno degli affollati banconi.
Mentre Dorian si iscriveva al torneo, il resto della compagnia convinse Bormungurd a ritirarsi in un luogo un po’ più appartato, ove Grinwald, incapace di mentire, spiattellò immediatamente il motivo delle loro incisive domande e la ragione per cui cercavano di appurare l’identità di Mousinièr.
Dopo qualche attimo di esitazione, Bormungurd rivelò che un tempo molto lontano era stato al servizio di quella infida canaglia, che allora si faceva chiamare Capitan Scavafosse, e la ferocia con cui aveva guidato la sua ciurma gli aveva guadagnato un posto tra i Nove Terrori dei Mari. Quando avesse coltivato il suo morboso interesse per intrugli e veleni Bormungurd non seppe dirlo, ma era risaputo che il crudele pirata si serviva di composti alchemici per ingannare e tradire sia complici che rivali, e che le sue lame erano in grado di portare la morte anche con il più lieve dei graffi.
Di quei giorni di dubbia gloria tuttavia rimaneva ben poco, e il nano spiegò che infine Capitan Scavafosse era stato catturato e condannato a trascorrere i suoi giorni nelle galere di Varetta, tenuto in vita dall’avidità del principe Fielfo, che sperava di estorcergli l’ubicazione dei nascondigli delle sue molte scorrerie. Come ne fosse uscito, e come avesse riavuto il suo prezioso anello, era un vero mistero per Bormungurd, ma il barbuto li mise in guardia, poiché sebbene invecchiato l’infido lupo di mare era ancora velenoso come una serpe.
L’inizio del torneo di Pochér obbligò la compagnia ad una sosta dai propri tormentati pensieri, ed essi si accorsero di averne più bisogno di quanto non volessero ammettere. Una volta preso posto, Dorian si rese presto conto che le basilari regole della competizione onorevole e onesta erano del tutto ignorate da quella masnada di bari dalle mani leste, ma perdiana avrebbe dimostrato che un mago-veste non si può gabbare facilmente! Persino Marchesa si lasciò andare ad uno sguardo di approvazione quando Dorian inchiodò il celebre Gills Lamour, torcendogli il polso fino a rovesciare le numerose carte che nascondeva nell’ampio polsino.
Purtroppo la poca esperienza in quell’ambiente torbido non favorì lo stregone, che dovette lasciare sui tavoli di Pochér un’ingente somma di denaro. E proprio mentre il mago-veste si riprometteva di rinunciare per sempre a quelle competizioni truffaldine, l’occhio gli cadde sul pamphlet che reclamizzava la competizione del Dado Lestofante…
Di ritorno al maniero, i quattro nobili scambiarono ancora qualche allegro commento sul torneo, ma ognuno di loro seppe che quella breve parentesi era prossima a chiudersi, e che i tetri eventi intorno a loro si sarebbero fatti sempre più pressanti. E così, mentre la carrozza chiudeva rapidamente la distanza che li separava dal palazzo di Marchesa, i cugini si immersero in una fitta conversazione, riesaminando pazientemente tutto ciò che avevano appreso in quei giorni cupi.
All’ennesimo passaggio evocato dalla cantilenante voce di Dorian, Bell si accorse che il nome della città di Varetta era stato ripetuto più e più volte; fu allora, come un lampo, che Marchesa comprese che il pericolo non proveniva dai feudi che circondavano Lairenne, dai nobili nati, dai cavalieri o da quella sarabanda di pagliacci che li accompagnavano, bensì aveva radici più profonde e lontane, che affondavano nella sua città natale, dove respirava ancora un avversario che più di ogni altro aveva ragione di reclamare il suo sangue: Ruggero, il figlio di Tancredi, l’uomo che aveva sapientemente tradito e assassinato nella sua elegante villa, poco prima di far sparire le sue tracce e lasciare che le Marche Occidentali di Cheemon la inghiottissero.
Rimanevano tuttavia ancora molti punti oscuri nella vicenda, primo fra tutti il ruolo e le motivazioni dell’Inquisitore, ma la carrozza si arrestò bruscamente: i nobili erano giunti a palazzo e il gran banchetto che celebrava la fine del secondo giorno del torneo si impose bruscamente alla loro attenzione, con la propria, ineluttabile, imminenza.