Le voci che giungevano dal nord erano sempre più preoccupanti ma significavano poco per Agedarn, ben più interessato ai viaggiatori che transitavano sui moli di Tarantia. Il sovrintendente era convinto che la stirpe reale avrebbe tratto grande beneficio dalla collaborazione con il potente Imperatore, sopratutto se fosse giunta all’orecchio del suo Frater la testimonianza della calda accoglienza che Tarantia aveva riservato ai combattenti sacri della croce. Tuttavia, gli storici concordano nel dire che egli non era stato benedetto dal dono della lungimiranza, e le violenze brutali che gli arroganti soldati dell’impero compivano ogni giorno tra le strade della capitale avrebbero condotto l’unico erede di Raon alla morte.
Come d’accordo, gli avventurieri si recarono all’appuntamento con i due mercanti di gioielli, che li avrebbero scortati personalmente all’appuntamento con colui che li avrebbe guidati tra i canali di Remkha, da sempre usati dai contrabbandieri per eludere la sorveglianza della guardia cittadina.
L’uomo che li attendeva in uno dei distretti mercantili della Città Vecchia però sembrava tutt’altro che pronto all’azione; il corto pugnale allacciato alla cintura non lo rendeva certo molto minaccioso. Eppure Golthag sembrava piuttosto sicuro di sé, e condusse all’interno dei canali sotterranei gli avventurieri, che tra le molte giravolte persero presto il senso dell’orientamento tra quei corridoi umidi.
Giunto all’imboccatura di un nero pozzo, Golthag fece intendere agli avventurieri che da quel punto in poi sarebbero stati soli: i Ratti di Zerke si annidavano da qualche parte nelle profondità del sottosuolo, e Golthag li avrebbe semplicemente attesi sorvegliando l’imboccatura pozzo.
Il grottesco figuro però attese semplicemente che la luce della torcia si fosse allontanata abbastanza per recuperare la corda e sigillare l’imboccatura del pozzo: non avrebbe dovuto far altro che presentarsi il giorno successivo da Grecio per ottenere la sua ricompensa per aver contribuito agli spettacoli della città.
Nel frattempo, gli ignari avventurieri si inoltrarono lungo l’unico cunicolo sotterraneo, ma nell’attraversarlo si imbatterono in un sinistro quanto casuale incontro. Attraverso una delle feritoie sotterranee, vennero raggiunti dalla cantilenante voce di un vegliardo morente, forse un prigioniero rinchiuso in chissà quale buia segreta. L’uomo non avrebbe detto che poche parole, eco di uno dei poemi antichi meno conosciuti che però Jack Faust seppe riconoscere, rivelando che si trattava del Sogno della Fenice.
Prima di morire, il vecchio tese verso le voci degli avventurieri una piccola tavola di legno, su cui era stato inciso rozzamente un simbolo che nessuno degli avventurieri seppe riconoscere.
Non potendo fare nulla per dare una giusta sepoltura allo sfortunato prigioniero, gli avventurieri continuarono ad esplorare il corridoio sotterraneo, ma mentre procedevano Chandra udì alle proprie spalle un tonfo sordo, qualcosa che scivolava pesantemente sull’acqua. Dopo lunghi minuti di attesa, Xirtam intravide il dorso di due giganteschi alligatori che emergevano tra le acque del canale, e gli avventurieri che avrebbero dovuto combattere in una posizione decisamente sfavorevole scelsero di correre via lungo il cunicolo.
Fu con enorme sorpresa che Dakkar intravide la luce del sole cadere da un pozzo proprio sul cunicolo che stava percorrendo; l’urgenza lo costrinse ad agire di impulso e si arrampicò rapidamente all’esterno, aiutando i suoi compagni a sfuggire alle fauci degli alligatori. La sorpresa di Jack fu grande quando il boato di mille gole salutò il loro ingresso nell’arena di Remkha.
Una delle cancellate cominciò ad alzarsi stridendo sgradevolmente, per vomitare le bestie che si sarebbero battute nell’arena: cinque robusti orchi armati di corte scimitarre ricurve e scudi di metallo fecero il loro ingresso, accolti da sputi e oggetti contundenti scagliati dalle alte gradinate. Tuttavia, prima che l’inevitabile scontro iniziasse, Xirtam sfruttò la sua conoscenza nella lingua nera per guadagnare del tempo prezioso, scoprendo così la tetra verità: quattro gigantesche belve catturate nel Danarg Inferiore vennero rilasciate nell’arena, obbligando orchi e uomini a fronteggiarle insieme.
Nonostante la cruenta battaglia, gli avventurieri si batterono con valore, ponendo fine alla vita delle selvagge creature e ai loro dilanianti artigli, soccorrendo persino l’ultimo orco rimasto, il quale, dimostrando un barlume di intelligenza, si arrese.
La battaglia non aveva placato la sete di sangue degli spettatori, ma evidentemente Grecio, recentemente elevato al rango di Giudice dell’Arena, ne fu soddisfatto, e ricompensò generosamente gli avventurieri, consegnando loro anche la parte che spettava a Golthag.
Dopo essersi sincerati dell’innocenza dei due mercanti di gioielli, gli avventurieri si prepararono bellicosamente a rivoltare l’intera città di Remkha, con l’intento di trovare Golthag e dargli quel tipo di retribuzione che gli scaltri della sua risma temevano maggiormente.