Eteleberto, frate e guerriero, scrisse nelle sue memorie che in quei giorni era possibile incrociare i cavalieri templari persino tra i più stretti vicoli della tortuosa Khemi, e che mai la città era stata così gremita di guerrieri della luce. Eppure, da ogni finestra o feritoia, gli occhi scuri degli abitanti di Stygia osservavano gli uomini dalla pelle pallida con un misto di odio e compassione: anch’essi infatti avevano appreso che il Signore del Deserto aveva oltrepassato i cancelli di Derketo, spazzando via gli invasori con la violenza stessa di una feroce tempesta delle dune.
La ricerca di Golthag avrebbe impegnato gli avventurieri per la mezza giornata successiva. Alla taverna del Boccale Spezzato di Remkha, dove il furfante aveva parecchi debiti di gioco, Dakkar scoprì che Golthag si era probabilmente rifugiato nel postribolo di Mamma Uba, che sorgeva in uno dei quartieri più degradati della Città Vecchia. Ansiosi di vendicarsi del torto subito, tutti gli avventurieri vi si recarono nonostante l’ora tarda, e Golthag, che li vide entrare, intuì che guai grossi come montagne stavano per piombargli sulla schiena con la violenza di un maglio. Mentre gli avventurieri chiedevano qualche discreta informazione, Golthag cercò di svignarsela al piano superiore, ma la fortuna non era dalla sua parte, e ne seguì tosto un frenetico inseguimento.
Golthag fece ricorso ad ogni astuzia per non cadere nelle mani di coloro che aveva consegnato alla morte dell’arena, gettandosi persino dal primo piano del postribolo e cercando scampo tra i vicoli di Remkha. Tuttavia, la sfarzosa sciarpa turchese lo tradì, e gli avventurieri riuscirono a stargli alle calcagna, sino a quando, svoltato uno degli angoli, lo sventurato tagliagole non si trovò innanzi una creatura da incubo: un gigantesco lupo mannaro.
Nella notte soltanto una parte della pallida luna era visibile, eppure la malabestia si aggirava ringhiando tra i vicoli della Città Vecchia, seminando il terrore tra gli abitanti di Remkha. Quando Golthag se la trovò innanzi non poté far altro che invocare aiuto, che inaspettatamente arrivò proprio dai suoi inseguitori: Kadmos e Dakkar si lanciarono contro il licantropo, mentre Andrey si occupava di bloccare il furfante e impedirgli di svignarsela.
La battaglia fu cruenta ma grazie all’aiuto dei poteri di Chandra e Jack Faust le profonde ferite causate dagli artigli e dal morso del licantropo vennero mitigate, e infine gli avventurieri trionfarono sull’abietta creatura.
Mentre gli abitanti della Città Vecchia cominciavano ad assembrarsi intorno al corpo senza vita del lupo mannaro, gli avventurieri cercarono un luogo appartato in cui porre fine alla propria vendetta, ed in un buio vicolo, Golthag negoziò per la propria vita, offrendosi di condurre gli avventurieri da Zerke in persona il giorno successivo. Andrey si occupò personalmente di legare Golthag, per impedire che potesse fuggire alla prima occasione senza onorare la sua nuova promessa.
Il giorno successivo, gli avventurieri tornarono nuovamente nei canali al di sotto della città; mentre si avvicinavano al territorio che era appartenuto ai Ratti di Zerke, Golthag si faceva sempre più timoroso, ben sapendo che Zerke non gli avrebbe certo perdonato il suo ultimo tiro mancino. Tuttavia gli avventurieri non si fecero impietosire ed esortarono Golthag a procedere, giungendo infine in una vasta sala sotterranea, nella quale facevano orrenda mostra di sé almeno venti cadaveri, e dai loro tatuaggi Andrey ne dedusse che si trattava certamente di uomini di Zerke. Dopo aver osservato le poche tracce lasciate sui lastroni di pietra del pavimento, il fuorilegge si convinse che il luogo era stato usato in passato come deposito; tutto il bottino tuttavia era stato portato via se si eccettuava per un ingombrante e scoperchiato sarcofago di pietra.
La macabra arca era stata certamente trafugata da una delle sfarzose tombe sotto il deserto, ma quale che fosse il suo contenuto era stato già saccheggiato. Jack Faust iniziò comunque a ricopiare accuratamente le iscrizioni poste sui lati del sarcofago, ma l’operazione venne interrotta quando cinque cadaveri, scossi da un macabro potere, si rianimarono, bloccando l’unico ingresso della sala sotterranea. Accorgendosi che anche gli altri morti stavano scuotendosi, Kadmos si pose alla testa dei suoi compagni, ordinando una letale carica e travolgendo i non morti all’ingresso; ma un altro orrore attendeva gli avventurieri appena oltre la soglia.
Il corpo di una donna mummificata, i cui occhi neri sembravano rilucere dietro un’elaborata maschera d’oro, si ergeva nel canale sotterraneo, e le sue membra avvolte da bende putrefatte erano celate soltanto da ciò che restava delle proprie elaborate vesti, antiche di eoni. Alle sue spalle ondeggiavano non meno di cinque morti viventi, che si scagliarono sugli avventurieri ad un suo cenno. Kadmos e Dakkar si lanciarono nella mischia, ma pur avendo ragione dei non morti scoprirono che le loro armi erano inefficaci contro l’esile mummia, i cui artigli erano così affilati da trapassare persino le difese offerte dall’armatura di Strom. Comprendendo che la creatura era al di là delle loro forze, Kadmos rovesciò le sue ampolle d’olio, creando una incerta cortina di fuoco e cogliendo subito l’opportunità per allontanarsi dalla battaglia.
Abbandonando la mummia rianimata alle proprie spalle, gli avventurieri si fermarono in una delle sale sotterranee dopo una folle corsa. Mentre stavano cercando di riprendere fiato, una voce li colse impreparati dall’oscurità, ed un dardo saettò verso il gruppo, reclamando con letale precisione la vita di Golthag.
Nel bagliore della torcia, le punte di metallo di altri dardi erano pronte a raggiungere i cuori degli avventurieri, che si prepararono ad un nuovo decisivo incontro sotto le affollate vie della Città di Rame.