Quando Sherargethru oltrepassò la Gola del Terrore alla testa del suo smisurato esercito di orchi, i cuori dei soldati che presero parte a quel decisivo confronto tremarono di paura. I giovani coscritti si gettarono a terra o cercarono di fuggire a quella vista, mentre i veterani temprati dalle molte battaglie dovettero ricorrere a tutto il proprio coraggio per mantenere i ranghi. Soltanto due uomini fronteggiavano la spietata tenebra senza alcuna ombra di timore: il principe Elegh, l’unico che aveva combattuto in quell’epoca contro Mourne il Nero, e Finn McCumhail, paladino di Edra, protetto soltanto dalla propria, incrollabile fede.
Era impossibile determinare quanto tempo viaggiarono su quell’improbabile vascello volante, sebbene tutti gli avventurieri concordassero che la traversata era stata piuttosto lunga, se paragonata alla precedente. La nebbia avvolgeva ogni cosa, e Falstaff controllava periodicamente l’unica fonte che aveva per orientarsi, la bussola stregata degli gnomi, mentre Narth guardava con preoccupazione i sempre meno numerosi sacchi di carbone che alimentavano il rudimentale meccanismo, domandandosi cosa sarebbe accaduto se un approdo non si fosse mostrato al più presto.
Prima che il peggio accadesse però, la Compagnia avvistò una vasta regione di terra, dalla quale contorti alberi spogli cercavano di artigliare il cielo con i loro rami nudi. Con l’aiuto di una lunga corda e un rampino, Falstaff e Theodor ancorarono il vascello volante ad uno degli alberi, e in poco tempo tutto il gruppo raggiunse il suolo. Dopo aver controllato per un ultima volta il proprio equipaggiamento, gli avventurieri si accinsero ad esplorare i dintorni.
Dopo un tempo imprecisato di marcia, Falstaff scorse tra i tronchi contorti quello che restava di un’estesa fortificazione, probabilmente una barriera, ormai in rovina da incalcolabili eoni. Dall’altra parte, un obelisco sormontato da una testa di serpente si ergeva solitario, circondato da piante carnivore. Mentre procedevano, Adua si accorse che nella regione dovevano crescere piante di mandragora, per quanto fossero state estirpate e ne restassero solo gli inconfondibili morsi delle radici nel terreno. Alla notizia insperata il cuore di Falstaff si accese, ma nonostante Adua fosse ricorsa all’aiuto di Ester, la sua fedele vipera, non riuscì a trovare alcuna pianta stregata da cogliere. Il che, commentò Crovont, poteva non essere poi una sfortuna, considerate le leggende che correvano sulle mortali mandragore e i raccapriccianti racconti su coloro che avevano tentato di coglierle senza utilizzare alcuna precauzione.
La marcia degli avventurieri si arrestò improvvisamente innanzi ad un vasto crepaccio, oltre il quale si ergeva un colossale Ziggurat, circondato da obelischi sormontati da una testa stilizzata di serpente. Superato l’ostacolo naturale con le proprie arti e con qualche livido, la Compagnia si accinse ad esplorare i dintorni dell’imponente ed antica costruzione.
Falstaff non tardò ad individuare un ingresso su uno dei lati della piramide scalare, ma quest’ultimo era sorvegliato da quattro Gnoll, armati di asce e lunghe lance. Dopo aver esplorato la sommità protetto da un incantesimo, Telehma rivelò che non vi erano altri ingressi, e così gli avventurieri decisero di ricorrere alla forza. L’intero gruppo aggredì i feroci Gnoll e dopo una breve battaglia le malebestie giacevano riverse al suolo.
Il doppio battente la cui superficie mostrava fregi in bronzo era stato serrato dall’interno. Telehma si concentrò e ricorrendo ad un sortilegio si trasferì coraggiosamente dall’altro lato, che per fortuna non era sorvegliato. Un meccanismo collegato ad una catena bloccava l’ingresso, e il mago veste impiegò pochi minuti a capirne il funzionamento e spalancare il doppio battente per i propri compagni.
L’interno dello Ziggurat si rivelò presto insidioso: una trappola mortale, spalancatasi sotto i piedi di Theodor, rischiò di ghermire la vita dell’intrepido sacerdote. Tuttavia, proprio grazie a questo imprevisto, gli avventurieri trovarono la via verso i sotterranei dello Ziggurat, imbattendosi in una singolare prigioniera.
Il corpo della donna era ricoperto di squame, e le sottili dita culminavano in esili artigli. La testa, in tutto simile a quella di un serpente, mostrava due occhi giallastri muniti di una lunga e stretta pupilla. Nonostante il suo aspetto gli avventurieri decisero di liberarla, e la donna serpente raggiunse le loro menti, trasmettendo il proprio pensiero senza emettere un solo sibilo.
Sistryl era una sacerdotessa del tempio, nell’epoca in cui la sua razza venerava gli Antichi Dei e dominava sulle terre circostanti, quando le strade della città tempio di Travincàl erano percorse continuamente dai piedi artigliati dei suoi abitanti. Unica superstite tra coloro che erano stati lasciati indietro dal Mago Sacerdote, aveva osservato la Seconda Oscurità divorare il mondo di Mai, senza avere alcuno strumento per contrastarla. Sistryl non sapeva dove si trovasse esattamente la Porta dei Mondi spalancata dal Mago Sacerdote, per quanto sospettasse che essa fosse stata celata all’interno delle sale sacre dello Ziggurat. Ella conosceva l’esistenza della chiave, ma rivelò che nessuna mano mortale avrebbe potuto strappare il cristallo dalla gola del dio-demone, sebbene Theodor si augurasse in cuor suo che questo dettaglio non corrispondesse a verità.
Quando gli avventurieri si ritennero soddisfatti, accettarono che Sistryl si unisse al gruppo, nel tentativo di trovare la porta segreta e sfuggire alla tenebra del mondo di Mai. Gli eventi a cui avrebbero assistito in seguito però, sarebbero rimasti impressi per sempre nella loro memoria ben più del sinistro volto della donna serpente.