Antica è la storia dell’eterno terrore che non dorme mai. Solo nella memorie degli elfi è custodito il terribile ricordo della Prima Oscurità, giunta sotto forma di un immenso aracnide che gettò la razza prediletta dai Valar sul ciglio della distruzione. Da allora, mai più gli elfi avrebbero eretto città splendenti, perché troppo vivo era il ricordo delle antiche dimore divorate dalla spietata tenebra; ma nonostante essi infine prevalsero, la forza degli Eldar venne fiaccata per sempre. Quando più di mille anni più tardi Ghaurir avvolse il mondo nella Seconda Oscurità, gli elfi non avevano più alcuna forza di opporsi al suo tremendo potere.
Rinviate le spiegazioni ad un momento più consono, Narth e Falstaff si precipitarono verso l’esterno. Nel vasto piazzale antistante il palazzo di Elva, orrende creature alate gettavano capienti reti di voluminose corde intrecciate, contenenti decine di uomini-iena. Gli Gnoll che sopravvivevano all’impatto con il suolo, si precipitavano contro i difensori di Settra, nel tentativo di penetrare nella sfavillante dimora dell’Osservatrice. Dopo poche esitazioni, Narth e Falstaff si gettarono nella mischia, mentre Adua arrestava l’impeto degli Gnoll ricorrendo all’aiuto della natura.
Giunti poco dopo sul campo di battaglia, Telehma e Crovont sprigionarono la forza dei propri incantesimi per difendere il palazzo dalle belve mostruose, e Theodor, scorgendo un cavaliere sul dorso dei mostri alati, lo colpì con tutta la forza di una colonna di fuoco. La bestia morì sul colpo, precipitando al margine della battaglia.
Volendo sincerarsi che il misterioso cavaliere fosse morto, Theodor si recò, seguito a breve distanza da Adua, presso l’immenso cadavere squamoso, che giaceva contorto contro uno degli edifici minori. Una cantilena atona li accolse, e prima che potessero reagire i due avventurieri vennero avvinti da un incantesimo. Theodor sgranò gli occhi per lo stupore nel riconoscere la figura che emergeva dalle ombre, ma non vi erano dubbi: si trattava di Calisto, il traditore dei maghi-veste.
La battaglia nel frattempo volgeva al termine, e Calisto ricorse ad uno dei suoi incantesimi per nascondersi alla vista, appena in tempo per sfuggire alla cattura: ma quando Telehma e Crovont appresero della sua presenza, compresero che dovevano trovarsi oltre la soglia del Portale delle Tenebre, il luogo segreto nel quale i maghi veste avevano da sempre gettato i traditori del proprio ordine; una prigione dalla quale nessuno era mai tornato indietro. Se questo era vero, Calisto avrebbe potuto trovare altri alleati dal cuore nero nell’atroce mondo di Mai.
Nella scintillante sala del trono, Elva confermò i loro peggiori timori, e rivelò che ogni accesso nel mondo di Mai era transitabile solo in una direzione, come un nero e profondo pozzo dal quale era impossibile risalire. Mentre l’inquietudine cresceva nel cuore della Compagnia, uno spiraglio di speranza si aprì, ed Elva ammise che esisteva un antico accesso sul quale essa non aveva alcun controllo, nella lontana città-tempio di Travincàl. Una chiave sarebbe però stata necessaria, e l’Osservatrice ghignò quando la descrisse: il cristallo custodito nella città di Settra, tanto agognato dagli gnomi, avrebbe spalancato la Porta dei Mondi, ma allo stesso tempo esso serrava la gola di un dio-demone urlante, e rimuoverlo avrebbe significato scatenare il potere dell’empia creatura. Con estrema sorpresa degli avventurieri, l’Osservatrice sentenziò che essi avrebbero potuto portare con se il dio-demone, pietrificato dal momento in cui non aveva potuto più udire la propria voce, e decidere cosa farne nel momento in cui avessero trovato il portale. Gli occhi di Elva luccicarono, ed ella consegnò il dio-demone, una minuta statua raffigurante un infante dalla testa mostruosa, nelle mani di Narth.
Soppesando quanto appreso, gli avventurieri decisero di riprendere il viaggio attraverso le terre divorate da Ghaurir; Elva ordinò che la loro bussola venisse alterata, affinché li conducesse verso ciò che rimaneva della città tempio. Con i pensieri turbinanti, la Compagnia si rimise in viaggio, abbandonando le mura di Settra per sempre.