Nelle perdute cronache di Ashkelon si narra che maestosi rettili affiancassero gli eserciti dei Re Fenice, in tempo di pace così come durante le lunghe guerre contro gli Estranei. Tuttavia, quando la tenebra discese dai Picchi Neri, i leali compagni degli Elfi affondarono le loro zanne nell’immondo simulacro; l’icore dell’Ombra bruciò la loro gola e corruppe la nobile stirpe per sempre.
La marcia si fece sempre più difficile, via via che la Compagnia si avventurava in terreni sempre meno conosciuti da Manatea. Tuttavia gli avventurieri erano avvezzi a viaggiare in terre aspre ed inospitali, ed essi superarono ogni ostacolo con determinazione e risolutezza. Mentre intorno a loro gli ostinati pini-soldato di Yrglis cedevano il posto a scarpate e pendii rocciosi, la compagnia si trovò innanzi ad un ponte pericolante di legno e corda, che si gettava oltre un baratro ove dimoravano persistenti nebbie. Sebbene essi non potevano saperlo, gli spettri degli uccisi vi transitavano verso la loro ultima dimora, ed essi erano rabbiosi e gementi, ansiosi di ghermire la vita di cui erano stati privati. Chandra e Dreela avvertirono la loro presenza, e Kiran, la cui natura sospettosa lo spingeva a dubitare di quel ponte sorvegliato dagli spiriti, decise di utilizzare la propria magia per trasportare dall’altro versante l’intera Compagnia. Fu così che il ponte non venne sfiorato dal piede degli avventurieri, e i lamenti degli spettri echeggiarono rabbiosi contro lo stregone e la sua iniqua scaltrezza.
Seguendo un accennato sentiero dall’altro versante gli avventurieri oltrepassarono una lunga e stretta gola, che si apriva in una vasta piana nebbiosa, cinta da alte pareti di pietra. Erano giunti alle porte di Ashkelon, ove un tempo sorgevano i cancelli splendenti di coloro che avevano regnato sulle terre orientali eoni addietro. I due guardiani di pietra, ciclopiche statue colossali ai lati del largo valico si ergevano ancora con caparbia ostinazione, ma essi erano diventati tetri, usurati dall’impietoso scorrere del tempo.
Mentre la Compagnia si accingeva ad attraversare la valle, notò con orrore che questa era disseminata di ossa e teschi, appartenuti a coloro la cui vita era stata strappata con spietata violenza. Innumerevoli erano state le battaglie che si erano combattute innanzi ai cancelli di Ashkelon nei tempi remoti, e altre le avevano seguite sin da quando i Nani avevano scoperto il suo ingresso segreto.
Avanzando tra quell’orrore, Dakkar sussultò nel vedere anche l’emblema del casato di Volkanov nel cui contingente aveva militato il proprio fratello; ma se il congiunto del guerriero fosse morto insieme agli altri, era impossibile dirlo, perché l’intera valle era stata trasformata in un gigantesco ossario.
Sconvolto da quella rivelazione, Dakkar raccolse l’emblema della sua terra, e si diresse insieme al resto della Compagnia verso gli antichi cancelli di Ashkelon; Isaac, che aveva utilizzato i suoi poteri per scoprire chi fossero gli artefici di quelle maestose statue, vide chiaramente che elfi, orgogliosi e fieri, transitavano oltre i cancelli sotto lo sguardo immutabile dei due guardiani di pietra: tuttavia, eoni interi erano trascorsi, e la roccia stessa ricordava con affanno quei giorni.
Isaac venne strappato ai ricordi della roccia da una voce femminile che con un misto di curiosità e scherno li invitò a volgere altrove i loro passi. Chandra rifiutò energicamente, e la voce dunque avvertì che essi sarebbero stati messi alla prova; ma guerrieri temprati e coraggiosi raramente si arrendono innanzi alle parole, e fu soltanto quando il terrificante rettile si mostrò che i loro cuori esitarono.
La maestosa creatura, corrotta dall’icore di Mekli, aggredì Isaac con fauci e artigli, e soltanto la magia evocata dal Guardiano lo salvò da una morte violenta e improvvisa. Gli avventurieri reagirono come un sol uomo, accorrendo al richiamo di Isaac e battendosi con estremo coraggio; la mostruosità artigliata, la cui corazza era ispessita da un carapace simile alle placche di un gigantesco insetto, affondò spietatamente i suoi artigli e le sue zanne nella carne degli avventurieri mentre i suoi molteplici occhi simili a quelli di un ragno brillavano alla luce delle torce.
Dopo una disperata battaglia, in cui Dakkar fu prossimo a perdere la vita, il gigantesco rettile fu sconfitto e crollò sotto i colpi dell’intera Compagnia. Mentre i feriti venivano curati, Chandra osò sfidare la voce che li aveva messi alla prova, ma se mai vi fu risposta essa venne rapita dal gemere del vento e dal lamento degli spettri. La Valle delle Ombre attendeva sognante innanzi a loro, perennemente avvolta dalla nebbia attraverso la quale nemmeno le stelle potevano guardare.