Il culto di Seth, il Grande Serpente, aveva raccolto nei secoli innumerevoli proseliti tra le sabbiose terre di Stygia. C’è chi ritiene che le genti dalla pelle d’ebano avevano accolto un dio così crudele e spietato soltanto in risposta agli atroci atti compiuti dall’Impero di Acheron, al cui paragone i sacrifici umani richiesti dagli altari del Grande Serpente sembravano di gran lunga più tollerabili per le vessate genti di Sygia.
Mentre gli avventurieri si riappropriavano delle loro armi nel vasto salone scarsamente illuminato nel quale era stato alloggiato il loro improvvisato palanchino, udirono all’esterno le secche grida dei soldati di Tholkad Beld che impartivano ordini di battaglia. Il tono di voce era sicuro e non si udiva più il cozzare delle armi: Kaltan ne dedusse correttamente che la battaglia era finita.
Gli avventurieri sapevano di avere poco tempo: era inevitabile che Tholkad Beld avrebbe posto domande sulla loro identità, e discussero brevemente per decidere cosa erano disposti a rivelare di ciò che avevano appreso. Tuttavia la loro conversazione fu interrotta bruscamente quando una donna dai fianchi snelli e lunghi capelli corvini venne spinta con poca grazia nell’ambiente occupato dagli avventurieri, accompagnata dal un rude ordine di non muoversi e dal secco scattare di un chiavistello.
Kaltan emerse subito dalla tenebra e si presentò alla giovane, che inizialmente spaventata sembrò rassicurata dalla voce e dalle parole gentili del giovane mezz’elfo. Ella si presentò con il nome di Deeva, figlia di Anklagor, e spiegò che quella terribile notte mostri metà uomo e metà serpente avevano tentato di portarla via con la forza dalla dimora di Tholkad Beld. Ansiosi di scoprire di più su ciò che spingeva le azioni dei propri nemici, gli avventurieri si immersero in una lunga conversazione con la nobile nata, fino a quando la porta si disserrò di nuovo, e sette uomini avvolti da mantelli scuri fecero ingresso.
A guidarli era Zahuro, non poco sorpreso della presenza di quegli ospiti. Egli tuttavia richiese a Deeva di seguirlo immediatamente, e inviò gli avventurieri nelle sale di Tholkad Beld. Quell’imprevisto minacciava di smascherare il suo tradimento, ma la sorte era dalla sua parte quella notte, e gli avventurieri impiegarono molto tempo prima di giungere nuovamente al cospetto del Capitano delle Sette Lance, a causa del trambusto che aveva sconvolto la villa gremita di così tanti ruffiani e delle loro guardie armate.
Tholkad Beld si trovava nelle sue sale private, sorvegliate dai suoi uomini migliori, tra i quali era annoverato all’epoca il giovane Saladino, la cui abilità nell’uso della scimitarra sarebbe diventata leggendaria nell’epoca a venire. Inizialmente sospettosi, gli avventurieri si fidarono maggiormente di Tholkad Beld dopo aver scambiato le prime parole, e decisero di confidargli quello che sapevano ottenendo allo stesso tempo preziose informazioni che dipanavano alcuni misteri degli accadimenti dei quali erano stati testimoni. Quando Tholkad Beld seppe del tradimento di Zahuro, lasciò che Tholmud si gettasse al suo inseguimento, e strinse un accordo con gli avventurieri affinché si recassero al distretto minerario di Kherd, per apprendere ciò che ivi era accaduto. Li avvertì che altri avventurieri sarebbero partiti con lo stesso compito, e che quindi avrebbero potuto trovare degli alleati lungo la via.
Il giorno in cui finalmente gli avventurieri furono pronti a partire, l’alba aveva da poco irradiato i suoi raggi luminosi sulla città di Remkha. Marcus fece strada verso il cancello orientale, seguito a breve dai suoi compagni, ma quando giunsero in vista degli imponenti battenti di bronzo, gli avventurieri notarono un ampio patibolo, al quale pendevano sette uomini. Inoltre, uomini di fede del lontano Impero, che recavano sul proprio petto l’emblema della croce presidiavano gli accessi alla città al fianco della guarnigione cittadina.
La prudenza richiedeva un approccio discreto, anche perché i cancelli della via orientale erano insolitamente chiusi. Aaran si decise ad avvicinarsi per primo, ma non era ancora giunto nel piazzale che il cancello si aprì sotto un secco ordine, lasciando entrare otto figure avvolte in logori mantelli. Grande fu la sorpresa degli avventurieri nel notare che la nona figura che li seguiva era proprio Deeva, la donna che avevano incontrato nella dimora di Tholkad Beld. La guarnigione alla porta si dimostrò ostile ai viaggiatori, e le spade vennero presto snudate: gli avventurieri che avevano conosciuto Deeva decisero di liberarla, e Marcus si gettò nella mischia, mentre Kalten e Doreah sferravano micidiali frecce all’indirizzo dell’uomo dai lunghi capelli scuri che teneva stretto il polso di Deeva.
Tuttavia, un altra figura fece allora la sua comparsa: Arlan Edregh, circondato da uomini dell’Impero, era giunto per reclamare la sua preda. Innanzi al sodalizio del sacerdote di Seth con i crociati, gli avventurieri intuirono che gli otto viandanti dovevano essere gli uomini assoldati da Tholkad Beld, e cambiarono tattica decidendo di favorirne la fuga. Marcus, disarcionato ad un passo dalla scure di Dakkar, piantò il suo pavese sulle scale, favorendo la ritirata del guerriero e dell’agile donna che lo accompagnava, che Lytharius non tardò a riconoscere come un’appartenente al suo stesso ordine druidico. Tuttavia, il potere di Arlan Edregh non poteva essere sfidato così apertamente, e Marcus lo sapeva. Dopo aver difeso la scalinata di pietra per pochi cruciali istanti, trovò scampo in una rocambolesca fuga nella quale le sue abilità di cavallerizzo furono messe a dura prova.
Lytharius nel frattempo utilizzò il suo legame empatico per localizzare la druida che aveva visto fuggire sui tetti della città di rame. Lasciandosi guidare dai suoi sensi, guidò i suoi compagni ad uno stretto vicolo cieco, ma per quanto gli occhi degli avventurieri fossero avvezzi a notare i dettagli più nascosti, soltanto l’abilità di Lucius fu in grado di trovare il complesso meccanismo che schiudeva l’ingresso segreto del tempio della Dea dell’Omicidio.
Quando furono all’interno, Leetha rabbrividì, riconoscendone i simboli sacri: erano dunque penetrati in uno dei luoghi più segreti della Città di Rame, un luogo che certo non era lasciato incustodito. In una sala lastricata sotterranea, voci taglienti chiesero dall’ombra il motivo della loro presenza, e le risposte degli avventurieri non furono soddisfacenti. Le lame degli assassini di Kardys erano tristemente note per la loro spietata efficacia, ma prima che il destino degli avventurieri si compisse, un uomo avrebbe fatta salva la loro vita. Si trattava di Jack Faust, che riavute le sue memorie era pronto ad adempiere ai compiti che il suo rango esigeva con crudele determinazione.