Il sibilare blasfemo si levava dal deserto, e coloro che avevano votato la propria vita al dio serpente seppero che il momento della vendetta era vicino. Eppure nessuno aveva atteso quel momento quanto il gran sacerdote Aketméth, le cui azioni avrebbero mostrato agli uomini la vera malizia di Seth.
I timori di Leetha si rivelarono presto più che fondati, sebbene il tradimento avrebbe preso le mosse da un individuo dall’apparenza insignificante. Per quanto sembrasse innocuo, Golthag aveva intuito che il Mutaforma non avrebbe lasciato in vita tutti loro, e decise di assicurarsi subito un posto di primo piano tra gli alleati della creatura dal cuore corrotto, condannando naturalmente tutti i suoi compagni di ventura.
Quando giunsero agli alloggi di Grecio, la trappola era già pronta, e bastò il comando del Mutaforma perché le guardie dell’arena si scagliassero sugli avventurieri. Eppure, essi non erano privi di risorse, e reagirono prontamente, barricandosi nelle stanze del Giudice. Golthag tuttavia pensava di conoscere bene quegli ambienti, che non offrivano alcuna via di fuga: era solo una questione di tempo prima che le guardie abbattessero la robusta porta e uccidessero nel trambusto tutti i testimoni della raccapricciante trasformazione del Mutaforma.
Tuttavia il Ratto di Zerke non aveva previsto che Grecio avesse molti segreti, tra i quali un passaggio ben occultato che conduceva ad una sala privata, situata a ridosso del cerchio di mura più alto, isolata da una magnifica vetrata colorata che ne garantiva adeguatamente la riservatezza. In quel frangente disperato, l’occhio acuto di Marcus individuò tracce del passaggio, e Lucius fu lesto a scoprirne il funzionamento. Quando la parete di pietra si discostò lentamente, tutti gli avventurieri vi si precipitarono dentro, chiudendola alle loro spalle.
Sebbene si fossero sottratti alla vista delle guardie, e il Mutaforma non potesse conoscere l’esistenza del passaggio, presto o tardi gli avventurieri sarebbero stati scoperti. Golthag si era rivelato un traditore alquanto astuto, e lo stridio della pietra era stato abbastanza forte da essere udito certamente al di sopra delle grida feroci delle guardie. Inoltre, forse c’era tra loro qualcuno che conosceva l’esistenza del passaggio, e Lucius non era certo l’unico furfante in grado di trovare il meccanismo di apertura. Per queste ragioni, gli avventurieri decisero di non attardarsi e frantumarono l’ampia vetrata che si gettava sull’esterno dell’arena.
Poiché discendere era un’impresa piuttosto ardua, gli avventurieri decisero di legare insieme le proprie cappe e realizzarono una rudimentale corda; purtroppo però, essa dimostrò tutta la sua fragilità, e quando Leetha stava affrontando la discesa una delle cappe si sciolse dalle altre, e la giovane elfa cadde nel vuoto per pochi metri.
Sheeda, che riponeva più fiducia nelle sue mani che nell’improvvisata corda, decise di affrontare la discesa. Questa storia ci insegna però che l’orgoglio degli uomini può talvolta portare il proprio corpo ad un non proprio morbido incontro con il duro selciato.
Avendo assistito alla morte di Sheeda, Doreah decise di cercare una via alternativa, avanzando coraggiosamente sullo stretto cornicione, vessato dalle deboli raffiche di vento cariche d’aria salmastra. Così strisciò seguendo l’arcuato muro dell’arena, finché non giunse in vista del mare, reso nero dalla tenebra della notte e la sua speranza riprese vigore nel notare che sotto di lei, un ampio canale di scolo si dipartiva dall’arena sino alle acque del mare. Prendendo coraggio e confidando nella sua buona stella la ranger si tuffò nelle acque, imitata tosto da tutti i suoi compagni sopravvissuti.
Nel frattempo, Leetha era stata soccorsa da due bizzarri frequentatori del porto, Aaran e Lytharius. Nonostante la situazione esigesse prudenza, la curiosità dell’apprendista mago verso la stirpe degli elfi, accresciuta da decadi di miti e leggende, lo spinse a offrire ospitalità all’intero gruppo.
Mentre si recavano verso la sbilenca torre occupata dallo stregone delle terre settentrionali, gli avventurieri si imbatterono in un armigero mezz’elfo, il cui nome era Kaltan. Egli aveva affrontato un lungo viaggio per ritrovare Leetha, che fu lieta di riconoscere un volto amico nella spietata città nella quale era stata costretta ad attardarsi per molto più tempo di quanto avrebbe voluto.
Quando finalmente la porta della torre venne chiusa, lasciando la notte all’esterno, Lucius si avvide che Tamvolpe non li aveva ancora raggiunti. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, il piccolo halfling ebbe timore che il giovane non ce l’avesse fatta. Eppure, mentre la stanchezza si impossessava delle sue membra, gli sembrò di sentire la fresca risata del bardo, e seppe nel suo cuore che Tamvolpe era ancora vivo.