Ragnar, primogenito di Rorik Vaughen, aveva dodici anni quando gli orchi marciarono al seguito Urash l’Impalatore discendendo in un’orda che avrebbe devastato le province imperiali negli anni a venire. A Draskìr, già teatro di numerosi disordini a causa della guerra per la conquista del trono imperiale, Rorik aveva riunito intorno a sé i più antichi nobili di Ursathra che erano sfuggiti alle persecuzioni dell’Inquisizione, il cui rancore era acuito dalle tasse Imperiali, sempre più esose a causa della guerra civile. Ragnar era al seguito di suo padre e degli uomini fedeli al casato di Vaughen quando le antiche sale del palazzo reale videro la caduta della dinastia della lince rossa degli Steiner: la spada del giovane principe sembrava guizzare nel buio quella notte e non risparmiò nessuno dei suoi avversari.
Mentre il padre consolidava il suo potere su Draskìr, Ragnar si recò a Glenthia, verso la quale marciava la gigantesca marea degli Orchi. I soldati erano sgomenti, perché gli esploratori avevano riferito che lo stesso Impalatore si trovava alla testa dell’esercito di creature nere che avrebbe colpito le mura meridionali di Glenthia.
Le canzoni narrano di quei giorni, della determinazione del principe Ragnar, che appena tredicenne si comportava già come un condottiero veterano di molte battaglie. Egli riuscì a infondere coraggio alla guarnigione, e la guidò personalmente in letali aggressioni ai fianchi dell’orda, obbligandola a rallentare la sua implacabile marcia verso la città. Quando Urash giunse ai cancelli meridionali, Rorik Vaughen, sul cui capo brillava la corona dei Re, era già sugli spalti insieme a tutte le forze di cui Ursathra poteva disporre.
La battaglia infuriò per più di sette giorni, e le difese di Glenthia furono messe a dura prova. Le risorse della città erano allo stremo quando un gigantesco orco in arcione ad una colossale mostruosità artigliata venne scorto dalle mura ed i soldati gemettero, poiché Urash l’Impalatore in persona era giunto per annientare la stirpe degli uomini che ancora si affannava a difendere i bianchi spalti di Glenthia.
Il pericolo più mortale però divenne l’occasione che Ragnar attendeva, ed in un’eroica sortita il principe guidò i suoi migliori cavalieri in una carica inarrestabile, travolgendo decine di orchi e giungendo al cospetto stesso di Urash. Fu allora che il gigantesco orco piantò con forza disumana la sua picca nel ventre del destriero di Ragnar, uccidendo istantaneamente la cavalcatura e disarcionando il principe, mentre i suoi Orchi si avventavano spietatamente sui cavalieri che lo avevano seguito, sollevando e abbattendo scuri, mazze e nere scimitarre sugli elmi dei soldati di Glenthia.
Ragnar ebbe solo il tempo di frapporre il suo scudo prima che la gigantesca mazza di Urash lo frantumasse insieme al suo braccio; ma prima che il mostruoso condottiero degli orchi potesse sferrare il colpo di grazia, Robrain, capitano della guardia reale, troncò il braccio dell’orco che aveva innanzi, e si scagliò con tutte le sue forze in difesa del principe; tracciando un ampio arco di sangue, Robrain spiccò di netto la testa del gigantesco avversario, decapitandolo e ponendo fine ai suoi giorni di terrore. I soldati di Ursathra che avevano visto ciò che era accaduto, si precipitarono nella mischia con rinnovato furore, mentre gli Orchi, privi del loro immortale condottiero, si sbandarono e infine fuggirono.
Ragnar avrebbe portato a lungo le cicatrici di quella battaglia, che più di ogni altra cosa mostravano il suo indomito e fiero spirito guerriero. Sempre, negli anni successivi, il principe si sarebbe mostrato insofferente alle diplomatiche cerimonie della corte, prediligendo la caccia e l’azione ai balli e banchetti in suo onore. Considerato uno tra i più temibili combattenti del Regno di Ursathra, Ragnar non è mai stato disarcionato da nessun cavaliere durante uno dei molti tornei indetti dal padre negli anni successivi.
Quando Rorik Vaughen radunò a sé i cavalieri per combattere Mourne il Nero, Ragnar era certo che avrebbe cavalcato al suo fianco, e grande fu la sua delusione quando Rorik lo scelse invece quale ambasciatore presso la corte di Arkenthag. A nulla servirono le grida e la furia di Ragnar, il vecchio Re si mostrò inamovibile e per essere certo che il figlio obbedisse lo fece scortare per lungo tratto dalla stessa guardia reale. Infelici sarebbero stati i ricordi delle ultime parole di Ragnar rivolte a quel padre il cui cuore, forse inaspettatamente veggente, gli aveva impedito di trovarsi al suo fianco quando il grande drago discese sui cavalieri del regno, per spezzare ancora una volta l’orgoglio degli uomini in un ruggente rogo di fiamme ardenti.