Il Malus Vizeraj è un’anello dalla forma di serpente nelle leggende dei dervisci delle dune, un arcano tomo nelle cronache dei venerabili maghi veste, una spada nera la cui elsa è incisa con un malevolo occhio giallastro nelle ballate dei predoni del Nord. Tuttavia, se l’aspetto del Malus Vizeraj muta a seconda della regione in cui ci si trova, in ogni dove si concorda sull’intrinseca malvagità sprigionata da questo arcaico artefatto.
Theodor ebbe un momento di esitazione quando Crovont mise in guardia il gruppo dall’incantesimo posto sull’arcata, troppo potente per essere disperso dal mago veste. Tuttavia pochi istanti dopo il sacerdote si decise a varcare la soglia, e i suoi compagni lo seguirono tutti, eccetto Adam, forse reso più saggio dagli eventi occorsi nella prima parte del viaggio.
L’intera Compagnia precipitò all’interno di una vasta sala, dopo essere stata dislocata dall’incantesimo in un luogo remoto: chiunque avesse utilizzato quel passaggio in tempi arcaici doveva avere una qualche attinenza con il volo, o una pelle molto coriacea; nondimeno, per quanto malconci, gli avventurieri si alzarono e si guardarono intorno.
La sala ottagonale era immensa e disadorna, e nei pressi delle elaborate colonne che svettavano verso il soffitto giacevano i resti di quattro statue mostruose in frantumi. Dopo la terribile esperienza nel cortile del maniero, tutti concordarono che doveva trattarsi di Gargolle, annientate da una stregoneria più grande di quella che le aveva animate.
Quando Telehma fece la sua apparizione, colse tutti alla sprovvista: il mago veste narrò il bizzarro incontro che lo aveva portato sino a quel luogo sinistro, al termine di un surreale dialogo con Waerd, lo stalliere del maniero costretto a servire oltre la morte, la cui più grande punizione sembrava aver ritenuto i ricordi della sua gloriosa vita. Telehma confermò la visione di Theodor, mettendo l’intera compagnia in guardia da Lyanna e dalla sua brama di possedere il Malus Vizeraj. Narth incoraggiò gli amici a proseguire, e così il gruppo iniziò a risalire la Torre Ottagonale.
Nel secondo piano della costruzione si era svolta una mostruosa battaglia. Scheletri consunti dal tempo stringevano ancora armi e scudi e giacevano in pose scomposte al suolo. Crovont intuì che si trattava di non morti, distrutti da un potente sortilegio. Mentre gli avventurieri si fermavano a considerare le capacità di colui che li aveva preceduti, una voce gracchiante e sinistra li apostrofò, e dall’alto di una balaustra si mostrò un’ingobbita figura incappucciata, armata di una lunga lama avvolta in un accecante bagliore.
Narth si preoccupò subito di tenere d’occhio le ombre, mentre al margine del campo di luce tutti videro raccapriccianti non morti che si avvicinavano lentamente, trascinando una coppia di colossali mannaie. Crovont abbattè un crepitante fulmine stregato distruggendone un’intera schiera, mentre Falstaff, Narth, Telehma, Ð e Victor si occupavano degli altri. Theodor concentrò tutta la sua fede in un potente scongiuro e scacciò la figura incappucciata dalla torre di Vorlock.
Fatti a pezzi i non morti rimasti, la Compagnia risalì la scalinata, dove si apriva un’ulteriore passaggio, bloccato da una pesante inferriata. Tuttavia, prima ancora che Narth potesse valutarne la robustezza, i corpi straziati alle loro spalle si rianimarono nuovamente, e convergendo in un unico punto insieme alle ossa si riunirono in una torreggiante mostruosità non morta, le cui estremità simili a braccia afferrarono entrambe le colossali mannaie. Innanzi a questa visione terrificante, il panico si impadronì degli avventurieri e vedendo che gli sforzi di Narth e Falstaff non erano sufficienti a forzare la grata, Telehma ricorse ad un sortilegio per scardinarla verso l’alto, saltando poi rocambolescamente dall’altra parte appena in tempo. La mostruosa creatura non morta colpì con violenza l’inferriata fino a piegarla, e tutti si precipitarono verso il piano superiore dove li attendeva uno spettacolo ancora più inquietante.
Intorno ad un altare marmoreo, un blasfemo rituale veniva perpetrato. Cinque monaci, come irrigiditi in una terribile morsa, reggevano candele rosse ad ognuna delle punte del pentacolo, iscritto in un cerchio di sangue, mentre innanzi all’altare una figura incappucciata salmodiava un incantesimo che non lasciava presagire nulla di buono. Intenzionato a fermare il rituale, Falstaff urlò la sua sfida.
In risposta, una voce minacciosa tuonò un terribile avvertimento, ma tutta la Compagnia sentiva il bisogno di arrestare qualunque intento perpetrato dallo stregone: Theodor e Narth scagliarono armi contro la figura, Telehma ricorse ai sortilegi mentre Falstaff decise di decapitare uno dei monaci, apprendendo troppo tardi che il malcapitato era ancora vivo.
Nel momento in cui la candela rossa cadde oltre il cerchio, la sinistra luminescenza intorno all’altare svanì di colpo, e lo stregone nero arrestò il suo salmodiare. Crovont, utilizzando la sua fedele mano spettrale tentò di risucchiare la vita dello stregone, ma inaspettatamente il suo stesso incantesimo gli si rivoltò contro e arrestò il battito del suo cuore. Il corpo di Mograine tuttavia stava subendo una mutazione terribile, e i suoi arti si ruppero e caddero, ridotti in cenere. Sembrò allora che le ultime parole del necromante fossero rivolte ad un misterioso quando invisibile interlocutore, una gutturale maledizione che nessuno della Compagnia poteva comprendere.
Alcune ore più tardi, quando finalmente la malvagia aura di Mograine si era del tutto spenta, Victor confermò che la torre non aveva vie d’uscita. La cosa peggiore però, era che dalle feritoie era possibile intravedere un paesaggio alieno e terribile: ovunque si trovasse la struttura ottagonale, era chiaro che non sarebbe stato d’aiuto alcuno abbatterne una delle pareti.
Provati duramente dagli scontri, il cuore gravato dalla morte di Crovont, gli avventurieri decisero di riposare, tutti eccetto Falstaff che non riusciva a concedersi alcuna requia in quel luogo tenebroso. Fu così, che agendo sotto un impulso indecifrabile, raccolse tra le ceneri di Mograine il Malus Vizeraj.
Mentre ne osservava l’intricata rilegatura, un mostruoso occhio ambrato si dischiuse sull’arcano libro maledetto, e i contorni di fauci irte di zanne si disegnarono sotto di esso. Avvinto dal potere del Malus Vizeraj, Falstaff strinse un patto di sangue con il terrificante demone, ed esso si mutò nell’appendice che l’esploratore aveva perduto un anno addietro, assumendo le forme di un avambraccio ricoperto di scaglie che culminava in una mano nera e artigliata.
Falstaff si affrettò a svegliare i propri compagni, e il Malus Vizeraj aprì un varco stregato su una delle pareti della sala. Quando ne superarono la soglia, gli avventurieri si ricongiunsero con Adam, e persino Crovont riprese a respirare di nuovo.
Rimandando le spiegazioni e il da farsi ad un momento successivo, tutti concordarono nell’allontanarsi dal castello maledetto il più presto possibile: soltanto Falstaff si attardò per raccogliere alcuni oggetti di valore, mentre i suoi compagni guadagnavano il cortile esterno e scendevano quanto più precipitosamente possibile verso il ponte di pietra. Nonostante l’affanno, Theodor avvertì che la malvagia presenza che gravava sulla rocca era scomparsa; ma il significato degli eventi che accaddero quel giorno sarebbe rimasto oscuro per molto tempo a venire.