Prologo

Marchesa osservava il fuggente paesaggio al tramonto, attraverso il vetro appena smerigliato della lunga goletta che, faticosamente, risaliva la corrente del gelido Raizél. L’inverno aveva stretto impietosamente nella sua insensibile morsa i feudi delle Marche Occidentali di Cheemon, ma il raccolto abbondante dell’estate appena trascorsa aveva promesso agli abitanti di Tullvéch un transito meno misero verso la lontana primavera.

Lo stregone dalle vesti nere era assiepato su di uno scranno identico, posto innanzi alla composta baronessa, infagottato nel caldo mantello bianco di Baknar: un dono degno di un principe. La fronte dell’incantatore era tuttavia corrucciata, ed i suoi occhi si posarono ancora una volta sulla missiva portata dalle tenebrose ali del corvo, e sul sigillo che l’accompagnava; non vi erano dubbi sulla sua autenticità, né Dorian aveva trovato alcuna ragione per metterne in discussione il macabro contenuto. Il sapiente emise un silenzioso sospiro, che si trasformò subito in vapore nonostante la temperatura di quegli alloggi galleggianti fosse di gran lunga superiore a quella percepita sulla tolda della Cressidia.

D’un tratto la porta si aprì, ed insieme ad una folata di vento gelido entrò la robusta armatura di Bell, candida per la neve che vi si era posata sopra. Il guerriero raggiunse il grande cilindro di bronzo, reso rovente dalle fumose braci, e vi avvicinò entrambe le mani guantate, mentre il suo viso si rilassava al ritrovato tepore. Eppure, a lungo le sue ciglia rimasero aggrottate, segno di un inconfessabile malessere che nemmeno il balsamo più efficace sarebbe stato in grado di lenire.

Nessuno dei nobili nati proferì parola, ché alcuna avrebbe recato il minimo conforto. Egli aveva dunque raggiunto le aule di Morr, ed ai vivi suoi congiunti non restava che riportare la salma, tanto cara alla dea della giustizia, entro le mura del maniero dei propri avi.

Il sole si nascose al di là dei pini-soldato e la nebbia si levò fosca dagli argini del Raizél; il tetro feudo di Vorthein offriva finalmente, in quell’anno disgraziato, il suo cupo benvenuto ai superstiti dell’infelice stirpe di Lairenne.